il 16/01/2021 alle 13:11

Zlatan Ibrahimović, da Cagliari a Cagliari, il ritorno del RE

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ZLATAN IBRAHIMOVICAnalizziamo il ritorno di Zlatan Ibrahimović in numeri, tattica e considerazioni sull’apporto tecnico e psicologico dello svedese, sia dal punto di vista individuale che collettivo, con mutamenti annessi rispetto alla scorsa esperienza.

Questo giorno non appartiene ad un uomo solo, ma a tutti”

Aragorn, durante “Il Signore degli Anelli: Il Ritorno del Re”, pronunciò queste parole. Parole che riecheggiavano nell’aria anche il 6 gennaio 2020, meglio individuabile come il secondo Z-Day.

Ognuno di voi ricorderà il luogo in cui si trovava in quel preciso istante, quell’istante del secondo tempo di Milan-Sampdoria in cui il Re Leone, con l’insolita casacca numero 21, rimpiazzò Piątek, tornando a vestire rossonero dopo quel Milan – Novara 2-1 del 13 maggio 2012, che sancì l’addio di un’intera dinastia di sovrani e dèi del milanismo.

Il boato del pubblico di San Siro, gremito per l’occasione, fece tremare gli spalti. Un po’ come se fosse un terremoto sì, ma emotivo.

Perché nonostante la partita precedente fosse stata Atalanta-Milan 5-0, il tifoso si sentì catapultato indietro al 29 agosto 2010, in quella calda serata estiva quando Zlatan si presentò con un “Oh, ricordati, sono venuto qui per vincere, e questo anno vinciamo tutto”, durante l’intervallo tra primo e secondo tempo di quella sfida contro il Lecce, terminata per 4 a 0.

La carta d’identità dice 1981, quindi anni 39 ad ottobre.

L’esperienza ai Galaxy fa pensare a tutti che quelli potessero essere soltanto i sei mesi di addio al calcio di un grande campione, invecchiato e tesserato da una nobile, disperata e decaduta.

Ma chi conosce Ibracadabra sa. Chi lo conosce ha quel sentore che qualcosa stia per cambiare, non soltanto a livello di carisma, di esigenza, di attenzione e di intensità, no.

Si tratta di Zlatan, un uomo che la vita ha definito zingaro ma che aveva trovato la propria casa a Milanello, casa che ha dovuto abbandonare per colpa del bilancio.

Ibrahimović non ritorna finchè non è titolare infatti il primo, vero, ritorno del re avviene il 12 gennaio 2020 a Cagliari.

“La scacchiera è pronta, le pedine si muovono” (Gandalf, “Il Signore degli Anelli, Il Ritorno del Re, 2003)

Un vero re, come prima cosa, si prende la corona. Quale modo migliore di riceverla, se non da Theo Hernandez, potenziale sovrano di quella fascia sinistra che per troppo tempo non ha avuto un degno condottiero?

Riceve, calcia, esulta ancor prima di veder entrare la palla in rete. Il numero 21 spalanca le braccia come solo lui sa fare, guardando negli occhi il suo popolo e reclamandone il comando, da vero condottiero.

Zlatan, tradotto letteralmente, significa “d’oro”: un Re con l’oro insito nel proprio nome!

Eppure lui nell’oro non è nato, partito da quel campetto di Rosengard, il Toernrosen, era troppo piccolo per gli altri bambini e non giocava per vincere, no. Lui pensava solo alle finte e al bel gioco. Le finte erano diventate un metodo di sopravvivenza, poiché lui era bravo e per fermarlo avresti necessariamente dovuto attentare alle sue caviglie. Ma Ibra, che non nasce biondo o ricco e cresce nel pregiudizio, ha imparato ad essere astuto.

Ronaldo è il suo idolo, quel brasiliano che tanto adora e di cui prova ad imitarne le finte quando gioca, unendole a quelle che già aveva imparato per salvaguardare l’integrità delle proprie gambe.

Lì nasce Ibra calciatore. La fame non l’alleni, il talento sì.

Poi sono arrivati MBI, FBF Balkan, Malmoe, Ajax, Juventus, Inter, Barcellona, Milan, PSG, Manchester United, Los Angeles Galaxy ed ancora Milan. Ma è lì, al Toernrosen, che nasce il mito del gigante svedese.

Fido Dido, la famosa BMX a cui teneva tanto e che gli rubarono da piccolo, potrebbe essere il titolo della fine della sua prima esperienza con il Milan. Lo svedese ha guidato altre biciclette: una francese, una rossa inglese, una americana, ma probabilmente nulla è come salire in sella a quella che amavi.

Zlatan è tornato al Milan come si torna da una battaglia, con qualche mese in più ma con ancora più amore da ricevere di prima. Il fatto è che rispetto alla matura squadra di dèi che aveva trovato 10 anni prima a Milanello, si trova una giovane armata di guerrieri da istruire e condurre verso una meta ancora indefinita.

Così il re si tolse la corona, indossò l’elmetto e prese a condurli.

Un anno dopo, il 18 gennaio 2021, il numero 11 torna fra i titolari in Serie A dopo due mesi di assenza, tornando a capeggiare i suoi uomini che però non si trovano più spaesati e confusi nel mezzo dell’inferno, ma sono in cima alla classifica, pronti a lottare per tornare sul Monte Olimpo, tra i grandi che ogni anno si contendono il trono.

Che cos’è successo nel frattempo?

1: IL GRUPPO

L’impatto atteso di un calciatore del suo carisma e della sua esigenza in partita, in allenamento ed oltre, ha permesso un’accelerazione notevole nel percorso di crescita della squadra allenata da mister Pioli. L’esperienza maturata nelle stagioni passate ed una capacità di contestualizzarsi con grandissima intelligenza hanno portato un cambiamento delle richieste e dei comportamenti di Ibra sia verso i compagni che verso l’esterno.

“Qui devi riportare un club al top, e fare capire ai giocatori cosa significa essere al top”

“Dico sempre: tu devi essere quello che sei, non posso cambiarti, perché se ti cambio non uscirà mai fuori quello che sei realmente. E tu devi essere te stesso. Poi tatticamente è un’altra cosa”

“Se accetto un passaggio sbagliato? No. Se chiedo tanto? Sì. Se non ti alleni bene ti dico qualcosa? Sì. Ancora oggi … Poi dipende da ognuno come la prende, perché come ti alleni è come poi giochi le partite. Se ti rilassi in allenamento, ti rilassi anche in partita. La mia filosofia è questa. Qui, secondo me, la squadra lo prende bene il mio comportamento. Sono loro a dirmi: facci vedere la strada e noi ti seguiamo” ( dall’ intervista di Massimo Ambrosini a Ibrahimovic per Sky Sport)

Il senso di responsabilità di questo giocatore è altissimo, è lui a chiedere che gli vengano messe aspettative e pressioni sulle spalle per poterle togliere alla squadra dall’esterno. Internamente è lui a gestire queste situazioni con la capacità di guidare un gruppo di ragazzi molto giovani e con caratteri personalità diverse.

I miglioramenti tecnico-tattici dei tesserati rossoneri sono manifesti.

Dal suo arrivo ogni singolo calciatore è migliorato dal punto di vista della fiducia, in sè stesso e nei compagni, dal punto di vista psicologico e tattico, fino alla qualità delle giocate. In 52 partite dal suo ritorno, il Milan ha totalizzato 4 sconfitte e 12 pareggi, ma soprattutto 36 vittorie, 304 giorni di imbattibilità in Serie A e 17 gare consecutive in campionato realizzando almeno due reti a gara. Con o senza la sua presenza in campo.

Questo testimonia la crescita di consapevolezza, carattere e mentalità che la sua presenza ha creato nel gruppo, sommando ad essa l’ovvio apporto individuale che un calciatore delle sue capacità è stato in grado di portare. Ogni giocatore ha avuto modo di esprimere l’importanza dello svedese sul gruppo e sull’andamento dei risultati attraverso il suo modo di essere, la sua esigenza ed il suo atteggiamento positivo nei confronti dei ragazzi.

Essere d’esempio anche nel rapporto con Pioli, accettando le scelte e confrontandosi in maniera rispettosa, “Tu fai il Mister io gioco” celebre virgolettato riportato dal coach.

Ecco, tutto questo ha creato fin da subito, i presupposti per poter lavorare serenamente e la serenità del lavoro quotidiano e creare un sistema di gioco in cui Zlatan potesse essere al servizio della squadra e la squadra al suo servizio. Più che mai.

Acquistare le prestazioni sportive di quest’uomo significa acquisire una mentalità, un insieme di valori che un gruppo predisposto all’apprendimento e con valori tecnici ed umani rilevanti può solo percepire ed assimilare come un miglioramento che nessun altro compagno di squadra potrebbe mai portare. La squadra in partita mostra una pluralità di piani, una fluidità nella ricerca del gioco e delle soluzioni tattiche che prima era comandata meccanicamente dall’allenatore e con continui richiami di Ibra e Kjaer, l’altro leader maximo.

Ora, invece, le soluzioni che in condizioni di difficoltà avrebbe potuto fornire solo il centravanti ex Barcellona, vengono provate anche in sua assenza ed in base alla fiducia e le caratteristiche dei presenti, con un’autonomia e una presenza di automatismi sempre più consistente e dettata da attenzione in allenamento, affiatamento del gruppo e consapevolezza nei propri mezzi, cosa che prima del suo arrivo non era presente.

Il movimento di Theo, la copertura dell’area di Ante, il numero di occasioni create da Hakan, le reti di tanti altri giocatori, tante da creare una cooperativa del goal. Al suo arrivo si parlava di “effetto Nocerino”, ma col passare dei match quell’effetto si è perpetrato lungo tutta la rosa anche senza la presenza del Re Leone in campo.

Oggi i rossoneri sono un gruppo coeso dentro e fuori dal campo, pronti a battagliare e a sacrificarsi l’uno con l’altro. Il numero 11, in alcuni momenti, sembra non avere in alcun modo l’età anagrafica che gli si attribuisce, ma aver invece beneficiato di quella media dei suoi discepoli per divenire, inesorabilmente, il Benjamin Button della storia del calcio.

2. THE NEW Z

Per analizzare il rendimento individuale di Ibrahimović, è possibile prendere come riferimenti tre partite in Sardegna della formazione rossonera.

Stagione 2011/2012: Cagliari – Milan 0-2  (autogol Pisano,Ibrahimović)

Stagione 2019/2020: Cagliari – Milan 0-2 (Leao, Ibrahimović)

Stagione 2020/2021: Cagliari – Milan (lunedì 18 gennaio 2021)

La prima stagione indicata è la migliore dal punto di vista realizzativo del numero 11 in Serie A: 28 reti siglate, titolo di capocannoniere raggiunto per la seconda volta, una forma fisica strabordante, reti da fuori, dentro l’area, in acrobazia o di tap in, attacco della profondità o palla sui piedi insomma, un calciatore incontenibile.

La scorsa stagione, quella con il 21 sulle spalle, è invece quella della rinascita, del ritorno a casa, quella conclusa con la crescita magistrale della squadra ed una serie di prestazione che hanno dimostrato quanto potesse ancora incidere nel calcio che conta. Quest’anno, invece, Cagliari sancirà la partita della prima presenza nell’anno dei quarant’anni, per un uomo che fino all’infortunio, era capocannoniere del campionato italiano di calcio con 10 reti in 6 partite.

Cosa cambia dal primo all’ultimo? Partiamo dal presupposto che, alla base del successo, ci sia la consapevolezza dei propri limiti, soltanto così questi possono essere tramutati in punti di forza e non debolezze. Zlatan ha compreso, soprattutto dopo il grave infortunio patito in Europa League con il Manchester United, che avrebbe dovuto rimodulare il proprio modo di giocare a calcio. Oggi copre il campo in maniera differente, sa di dover aiutare la squadra con le proprie reti e con alcuni movimenti, quindi calibra il proprio dispendio energetico e le proprie giocate in funzione della massima efficacia, efficienza e il raggiungimento del risultato sperato.

Oltre a questo, però, il signore in oggetto ha incrementato l’attenzione al proprio fisico in modo crescente, non soltanto al fine di prevenire infortuni, ma soprattutto per poter performare in maniera ottimale nonostante il cambiamento del fisico. Ibra è fisicamente più in forma rispetto ad altri anni, per sua stessa ammissione, i dati lo supportano, soprattutto dal punto di vista realizzativo. Ve lo mostro.

Primo dato in analisi è quello del coefficiente derivante dal rapporto tra reti realizzate e tiri nello specchio: nella stagione di Serie A corrente è di 0,62, in quella precedente dello 0,44 (Cristiano Ronaldo, per intenderci, ha 0,50 oggi e 0.28 nell’anno di Sarri), mentre nel 2011/2012 è di 0,27.

Questo si traduce nel fatto che le 10 reti di Ibrahimović nel 2020/21 nascono da un totale di 13 tiri in porta, con una percentuale di successo per tiri in porta superiore al 76% (su un totale di 31 tiri effettuati), quelle della scorsa annata registrano un 55,5% figlio di 10 reti su 18 tiri in porta (63 tiri totali), mentre quelle della famigerata stagione in cui divenne capocannoniere con la casacca del Diavolo contano 28 reti su 68 tiri in porta (41,17%).

Questo significa che il mutamento della condizione fisica del calciatore è stato in grado di portare ad un incremento della freddezza negli ultimi metri e ad una capacità realizzativa crescente. Tesi che viene sostenuta da un altro curioso dato, ossia quello concernente la distanza media dei tiri dello svedese, che è passata dai 15.8 metri ai 15.1, con un avvicinamento alla porta sempre maggiore del numero, coinciso con un aumento dell’efficacia sottoporta, 10 reti realizzate in 6 partite contro quelle segnate in un girone nel 19/20.

La media dei tiri effettuati per 90 minuti indica un coefficiente di 5.22 nelle 6 partite stagionali attuali e un 4.16 nella stagione antecedente, confermando il miglioramento della facilità ad arrivare al tiro correlata alla lucidità mantenuta nelle fasi cruciali delle partite giocate.

Le reti di testa e i duelli aerei in mezzo al campo, così frequenti e consistenti dal suo ritorno al Milan, suggeriscono un miglioramento in quelle situazioni di gioco in cui precedentemente non riusciva ad eccellere, nonostante la stazza e l’atletismo che lo hanno sempre contraddistinto. Ad oggi si tratta di un calciatore in grado di aumentare il ventaglio di soluzioni tecniche e tattiche della squadra e tanto intelligente da dettare la linea migliore in funzione del momento della gara.

Zlatan Ibrahimović può dirsi migliorato in tantissimi aspetti, può dirsi evoluto per adattarsi al calcio e al trascorrere del tempo, ma è anche il calcio a doversi adattare in parte a lui. L’uomo che è passato dalla conquista del Toernrosen al dominio di San Siro, colui che è stato capace di dominare il cielo e la fisica in tantissime sue giocate e che è ancora in grado di fermare il tempo e portarlo indietro di dieci anni con una giocata delle sue.

Ogni volta che lo vedo con la maglia numero 11 e fisso quella che mi regalarono i miei genitori al suo arrivo al Milan per la prima volta, mi rendo conto di due cose: la prima è che quel 21 era soltanto di passaggio, si stava davvero soltanto scaldando come disse su quel post Instagram alla firma del rinnovo. La seconda, invece, è che dentro ognuno di noi c’è un po’ di Ibrahimović, vuoi per il passato, vuoi per la fame nel raggiungere gli obiettivi, vuoi per la passione. Forse è proprio questa irrimediabile condizione a renderlo così amato. 

Quando avevo 13/14 anni, giocava all’Inter ed io ero irrimediabilmente milanista. Avevo il suo numero di piede, un po’ il suo naso, nemmeno lontanamente il suo talento, ma quando andavo a giocare con i miei amici al campetto, provavo sempre ad imitarlo. Con il passare degli anni però, mi sono reso conto di come pian piano fosse sempre più la sua personalità ad ispirarmi, il suo modo d’essere: così umile nel lavoro quanto così sbarazzino e consapevole in altro.

Rivedersi in qualcuno e riuscire a beneficiare dell’influenza di quel personaggio in modo costruttivo, reale, significa attribuire a quel soggetto il titolo di esempio. L’attitudine, la mentalità, il pensiero positivo, l’attaccamento ai valori.

Questo è il vero senso dello sport da trasferire nella vita. Questo è il motivo per cui Zlatan Ibrahimović è ciò che gli altri non sono.

Ha combattuto e vinto in ogni ambito della propria vita e si è rimesso in gioco per ripeterlo. Ha regalato un sogno al tifoso che aveva ormai perso il sonno. Si è migliorato quando chiunque pensava potesse solo peggiorare.

Il Re è tornato solo per far vedere che non se n’è mai andato.

photocredits acmilan.com

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