Cos’è il fato? Per gli antichi era la parola delle divinità. Il destino inconfutabile al quale nessun essere umano poteva sottrarsi.

Nella storia del Milan il fato è declinabile in eventi riconducibili ad un luogo, Verona.
È la città fatale … la “Fatal Verona”.
Nonostante gialloblu e rossoneri si siano incontrati al Bentegodi 74 volte con 32 vittorie Milan e 13 dei padroni di casa, la mente va al 20 maggio 1973 e al 22 aprile 1990.
I Milan di Nereo Rocco e Arrigo Sacchi perdono clamorosamente lo scudetto all’ultima e penultima giornata dei rispettivi campionati.
Sconfitte che hanno appesantito l’attesa di generazioni di tifosi.
È come se all’arrivo nella città di Giulietta e Romeo trovassimo all’ingresso Minosse, custode e giudice dell’Inferno dantesco a mettere in guardia il popolo rossonero: “Guarda com’entri e di cui tu ti fide”.
Non è detto però che il destino fatale non possa regalare gioia.
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“Non impedire lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote, ciò che si vuole, e più non dimandare” avrebbe risposto Carlo Ancelotti, così come Virgilio, il 28 aprile 2002.
L’allora allenatore del Milan, subentrato a Terim sei mesi prima cercava di dare un senso ad una stagione, iniziata con grandi aspettative visto il mercato faraonico, Inzaghi e Rui Costa su tutti, provando il disperato accesso all’ultimo posto disponibile in Champions League.
Quel caldo pomeriggio primaverile, nessuno poteva immaginare cosa il Fato avesse previsto per noi. Non soltanto serviva una vittoria ma bisognava sperare in un contemporaneo passo falso di Lazio e il sorprendente Chievo, rivali per il quarto posto e davanti in classifica.
Difronte il Verona di Malesani che provava a conservare la categoria. Una salvezza che sarebbe stata comunque un obiettivo secondario considerando la posizione in classifica, vista Europa, della prima parte della stagione.
Malesani guidava una squadra di qualità. Era il Verona di Ferron, P. Cannavaro, Cassetti, Oddo, Camoranesi, Mutu e Gilardino.
In un Bentegodi ribollente di passione, gli uomini di Carlo Ancelotti arrivavano da appena due punti nelle precedenti tre partite, un’eliminazione in semifinale dell’allora Coppa Uefa ai danni del Borussia Dortmund e il timore che il Fato, ancora una volta, avesse scelto Verona per abbattersi con tutta la sua forza negativa.
Il Milan scende in campo con una difesa composta da quattro centrali. Chamot e Kaladze esterni, Laursen e Maldini centrali a protezione di un centrocampo a trazione anteriore visti i contemporanei impieghi di Serginho e l’allora promessa del calcio italiano, il giovanissimo Andrea Pirlo, schiarato nel ruolo di trequartista a ridosso di Shevchenko e Inzaghi.
Il Milan parte bene. Già al 6’ Inzaghi, smarcato da un lancio di Chamot, si allarga a destra e appena entrato in area, lascia partire un diagonale imprendibile. Non per Ferron che, allungandosi sulla sua destra, compie un autentico miracolo deviando la palla in corner.
Ma il Verona risponde 10 minuti dopo. Lancio lungo di Italiano per Cassetti che sulla destra sorprende la difesa rossonera. Mette al centro un pallone teso ma Frick, ad un passo dalla porta sguarnita, viene anticipato da Chamot. Un gol solo rimandato di qualche minuto. Mutu da 25 metri, prende palla e lascia partire un tiro imparabile. Gol capolavoro. È tornata la “Fatal Verona”.
Ma il Fato, si pensava, avesse scolpito le sue certezze tra i delusi tifosi milanisti, in quattro beffardi rintocchi:
36’ P. Cannavaro svirgola la palla, Sheva solo davanti a Ferron la ciabatta fuori;
45’ Pirlo calcia una perfetta punizione dal vertice sinistro dell’area. La palla si stampa sul palo a Ferron battuto;
3’ della ripresa. Kaladze atterrato in area. Calcio di rigore. Sul dischetto va Serginho che di sinistro apre troppo l’angolo di tiro. Palo sulla destra del portiere e palla che esce dopo aver attraversato la linea di porta.
16’ Inzaghi scatta sulla linea del fuorigioco. Salta Ferron, tira, ma Dainelli salva sulla linea.
È scritto. Ma nessun umano si permetta di interpretare o dare per scontato il volere del Fato.
Al minuto 18, Italiano tutto solo al limite dell’area piccola, ha la palla per regalare al suo Verona il raddoppio dal gusto salvezza e al Milan un viaggio di sola andata per l’inferno.
Ma l’uomo glaciale proveniente dalla Georgia, il nostro Caronte, viene prescelto per traghettarci fuori dall’Inferno. Kakhaber Kaladze riscrive il significato di “Fatal Verona”. Palla deviata in extremis in calcio d’angolo. Ma è solo l’inizio.
Al 20’, Kaladze, appena oltre il cerchio di centrocampo, lancia Inzaghi che tutto solo davanti a Ferron questa volta non perdona. È 1-1. Il Milan torna a segnare dopo 322 minuti di astinenza. L’ultimo gol in A dei rossoneri proprio di Inzaghi e sempre al Bentegodi nel pareggio contro il Chievo del 7 aprile 2002.
Il Verona va vicino al vantaggio con Colucci che tutto solo in area, colpisce di testa indisturbato ma la palla è alta.
Dieci minuti dopo, è sempre l’attuale sindaco di Tiblisi a smarcare dal limite dell’area con preciso tocco di sinistro Andrea Pirlo che si inserisce beffando la disattenta difesa gialloblu. Il giovanissimo 21 rossonero, con la freddezza di un veterano, dribbla Ferron e insacca la rete del vantaggio. Una vittoria sudata e meritata che condanna clamorosamente quel Verona alla retrocessione.
La gioia è incontenibile anche perché al triplice fischio, il Fato, comunica che la Lazio ha perso 2-0 a Bologna e il Chievo è crollato sul più bello a Roma sepolto da cinque gol.
Quarto posto e Champions raggiunta nell’ultima giornata contro il retrocesso Lecce a San Siro. Ma non è stata l’unica gioia che il Fato regalò al popolo rossonero. La domenica successiva a quel Verona–Milan, la città era pronta a festeggiare lo scudetto, sponda nerazzurra.
Ma quel caldo pomeriggio nella “Fatal Verona”, fu solo l’inizio di un viaggio meraviglioso a una settima dall’indimenticabile 5 maggio 2002 che ribadì alla storia che Milano, nel mese di maggio, concepisce solo due colori: il rosso e il nero.
Da quel giorno, Verona è la nostra finestra sul futuro: ”E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
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