VERONA MILAN
Fatale, una parola che richiama al fato, al destino, a qualcosa che è oltre il controllo degli esseri umani.
Quella domenica, tuttavia, non perdemmo lo scudetto per un intervento dell’imponderabile o una concatenazione di eventi imperscrutabili all’umana scienza. Perdemmo lo scudetto per qualcosa di molto diverso, l’opposto del imprevedibile: il calendario.
I calendari sono griglie in cui ingabbiare il tempo, in cui organizzarlo in caselle, per prevederlo. Ordinarlo. Per porre un freno al caos, al fato.
Non è fatale che il Milan di Rocco si trovi a giocare l’ultima giornata di uno dei campionati più combattuti che la serie A ricordi, due giorni dopo una finale di Coppa delle Coppe a Salonicco. Tra l’altro vincendo, e non contro una squadra qualunque, contro “Il maledetto United”, Il Leeds allenato da Don Revie: una delle squadre più cattive e arcigne della storia del calcio.
(Nel caso non l’abbiate letto vi consiglio vivamente il libro “Il maledetto United” di David Peace. C’è anche un film, ma il romanzo è migliore).
Nereo Rocco, commentando con la consueta ironia quella sconfitta bruciante ma prevedibile disse: “Questi sono i miei cadaveri”. Raccontò di aver trovato negli spogliatoi, al rientro all’intervallo, i giocatori accasciati sulle panche. Distrutti.
Ora, avendo rimosso l’inesattezza dell’aggettivo fatal, proseguano a raccontare la partita di quella domenica. Anzi, la non partita.
Ci presentiamo in campo al Bentegodi con un punto di vantaggio in classifica su Lazio (neopromossa) e Juventus. Dobbiamo vincere. Dobbiamo conquistare i due punti della vittoria. Dobbiamo mettere la stella.
Già, la stella, è previsto dal regolamento che una squadra che raggiunga il numero di dieci scudetti vinti possa fregiarsi della stella sopra il proprio scudetto. Adesso, nel 2021, diamo per scontato che sopra lo scudetto sulla maglia del Milan ci sia, quella stella. Quasi non la notiamo.
Quel pomeriggio avevamo vinto 9 scudetti, giocavamo per il decimo, giocavamo per la stella. Da Milano era avvenuto un vero e proprio esodo verso Verona, numeri ingestibili. Al Bentegodi sventolano solo bandiere rossonere.
Il Milan scende in campo con Vecchi, Turone, Zignoli, Sabadini, Anguilletti, Rosato, Rivera, Sogliano, Bigon, Benetti, Chiarugi. All. Nereo Rocco.
I ragazzi prima del fischio d’inizio lasciano vagare lo sguardo sugli spalti colorati di rosso e nero, sanno che le gambe non vanno, lo sentono. Ma è troppo importante, si ripetono in testa, come un mantra “é solo una questione di testa”.
Magari ogni tanto è vero, che la stanchezza mentale è peggio di quella fisica, ma qualche volta, semplicemente, ti scontri conto i limiti naturali del corpo umano.
Non c’è partita.
Al ventinovesimo perdiamo già tre a zero.
Il Verona, in realtà, sarebbe salvo, non avrebbe un vero motivo per aggredire la partita con quella veemenza. Ma, in quell’anno, i premi a vincere non erano ancora vietati. È ovviamente le rivali di classifica non si erano esonerate dal provvedere.
I ragazzi compiono uno sforzo sovrumano per riportarsi sul tre a uno all’ intervallo, dove vanno a farsi massaggiare negli spogliatoi, a cercare di calmare il fiatone. I quindici minuti dell’intervallo devono essergli sembrati quindici secondi, quando si alzano dalle poche le gambe sono ancora più rigide, arrese.
La partita rimane sul tre a uno fino al 70’, poi prendiamo il quarto e e il quinto in due minuti.
Le bandiere, sugli spalti, sventolano meno convinte, alcune poggiate sulle spalle di tifosi con le mani sui capelli. Alcuni avevano portato grandi stelle ritagliate nel cartone, il 10 in bella vista al centro. Quelle stelle, tenute in alto per quasi tutta la partita, si abbassano.
Stelle cadenti di sogni rotti.
Gambe che non girano, calendari impossibili.
Premi a vincere, avversari senza scrupoli.
I ragazzi negli ultimi dieci minuti segnano due volte, col Verona che ha smesso di giocare. Fissando il risultato, per sempre, sul 5 – 3.
Consegnando alla storia il racconto di una “Fatal Verona” che di fatale non ha avuto proprio nulla.
Lo scudetto lo vinse la Juventus.
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