In un’intervista da brividi rilasciata al The Players’ Tribune, Fikayo Tomori ha spiegato perfettamente cosa vuol dire per lui giocare per il Milan.

Tomori sull’esperienza in Inghilterra prima del Milan: tra il Chelsea e la Championship
“Prima del Milan, ero frustrato. La mia carriera al Chelsea era iniziata così bene, ma poi all’improvviso non ho più capito che direzione stava prendendo. Nell’estate del 2020, non avevo mai iniziato un precampionato sapendo per quale club avrei giocato il giorno dell’esordio. Questo non è facile. Non fraintendetemi, ho tantissimi bei ricordi legati al Chelsea. Io, Tammy, Mason, Dom Solanke, Andreas Christensen, Trevoh Chalobah, potrei andare avanti… Eravamo solo amici che amavano la vita. Poi sono cresciuto molto andando in prestito al Brighton, all’Hull e al Derby. Nessuno cercava più di sostenermi o di mettermi un braccio intorno alle spalle. Si trattava della Championship, non della lega giovanile. Ci sono conseguenze reali in gioco: promozioni, retrocessioni, posti di lavoro. Per non parlare dell’aspetto fisico. Una volta, al Derby, ricordo di essere stato colpito dal corpulento attaccante del Bristol City Famara Diédhiou: mi fece così male che non sentivo più la gamba e dovetti lasciare il campo. Il medico del nostro club mi disse che non aveva mai visto nulla di simile. Aggiunse: “Questo tipo di infortunio lo vedo solo nel rugby!” Quando finalmente sono entrato nella prima squadra del Chelsea nel 2019-20, è stato surreale. Non solo per avercela fatta, ma anche per averlo fatto con i miei compagni. La partita che riassume meglio tutto questo è stata quella in cui abbiamo battuto la squadra dei Wolves per 5-2 in trasferta in quella stagione. Io ho fatto un gol da urlo. Colpii la palla al volo, di esterno, e volò in rete. Willy Caballero mi prendeva sempre in giro per come tiravo in allenamento, quindi mi sono vendicato”.
La rottura col Chelsea e i contatti con il Milan e con… Paolo Maldini
“Ma dopo il COVID, tutto è cambiato. Improvvisamente, non giocavo più così tanto. La mia carriera stava andando in una direzione e poi si era fermata. Sono una persona che non cerca di esaltarsi o abbattersi troppo, ma non voglio mentire, il mio sorriso era sparito. Poi ho ricevuto la telefonata che ha cambiato tutto. Quando l’ho detto a mio padre, la sua prima domanda fu: “Perché Paolo Maldini parla con te?” Gli spiegai che Maldini è il direttore sportivo del Milan e che mi aveva chiamato per sondare la possibilità di trasferirmi lì, in prestito. A dire il vero, per tutta la chiamata su Zoom non riuscivo a crederci nemmeno io. Ero seduto e lo guardavo, ascoltando, ma senza capire bene. Stavo solo pensando: “Sto parlando con Paolo Maldini”. Non sapevo cosa fare, poi ho parlato con alcuni ragazzi del Chelsea che erano stati in Italia: Toni Rüdiger, Mateo Kovačić ed Emerson. Toni era alla Roma e continuava a dirmi che i giocatori erano supportati molto bene. Poi si avvicinò e mi disse : “Allora, vai a Milano? Ascolta… se ne hai la possibilità, vai”. “I tifosi… è diverso in Italia. È una cosa folle. Io ero un idolo lì, capisci? Dai tutto te stesso e ti adoreranno”. Poi c’era Thiago Silva. Non sapeva l’inglese, ma quando sentì di cosa stavamo parlando, disse: “Milan?”, dando un enorme pollice in su! E allora ho pensato, “O.K., mettetemi sull’aereo!”.
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I primi momenti di Fikayo Tomori a Milano insieme a papà
“Quando finalmente sono andato a firmare, nel gennaio del 2021, mi hanno fatto fare un giro del museo. Ci sono così tanti trofei che non riesci nemmeno a ricordarli tutti. Coppe dei campioni e Palloni d’oro, ovunque. Guardo le foto alle pareti e mi dico: “Sì, questo è il posto giusto”. Ci sono Shevchenko, Kaka, Nesta, Ibra, Pirlo, Ronaldinho… E questi sono solo alcuni che mi ricordo perché li ho visti da bambino, data la mia età. Il momento più toccante è stato quando mi hanno consegnato una borsa con dentro la mia tuta. Quando l’ha tirato fuori, ho fissato lo stemma del Milan. Credo che papà si sia reso conto che stavo avendo problemi ad assimilare tutto quanto. Mi guardò e mi disse: “Tu giochi per il Milan”. Ancora dopo quasi due anni, ogni volta che vedo la mia tuta provo ancora una sensazione speciale. Mi dico ancora: “Gioco per il Milan”
Sui tifosi in Italia e sulla differenza con l’ambiente che si vive in Inghilterra
“È la cultura dei tifosi che è unica. È così diverso dall’Inghilterra, dove in strada ti chiedono un paio di selfie. In Italia, anche se indossi un berretto, un cappuccio o una maschera… vieni riconosciuto. Anche se mi copro il viso, vengo comunque riconosciuto. Qualcuno cattura il mio sguardo e vedo che ci sta pensando, come mi sembra di conoscere quegli occhi, e poi si scatena l’inferno! È una vera follia. Ma è una follia positiva. Dopo aver atteso a lungo il titolo e aver visto i rivali dominare, ci si potrebbe aspettare un po’ di negatività da parte dei tifosi, ma devo dire che non ho mai provato nulla di simile… solo amore. Così tante persone che si rifiutano di farti pagare il caffè o che ti mostrano i loro tatuaggi del Milan. Ho visto così tanti tatuaggi di Giroud che festeggia il suo gol nel derby| L’amore datoci durante la corsa allo scudetto fu immenso. Non ce l’avremmo mai fatta senza l’aiuto dei tifosi. Ci sono stati tanti momenti speciali durante il cammino verso lo scudetto, soprattutto verso la fine della stagione. A ogni partita sempre più amici sono venuti da casa, per partecipare all’eccitazione della corsa al titolo. Di solito li sistemo nel settore delle famiglie dei giocatori a San Siro, ma una volta li ho messi insieme ai tifosi normali e dopo sono tornati dicendo: “Sì, Fik… ci devi mettere sempre lì. Vogliamo far parte di questa energia. È pazzesco!”
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Fikayo Tomori sulla spinta di San Siro e dei tifosi rossoneri
“Ricordo il derby di febbraio. Avevo appena subìto un intervento al ginocchio ma, quando Oli ha segnato il secondo gol completando la rimonta, sono saltato in piedi come se avessi appena ricevuto una cura miracolosa! Era una partita in trasferta, ma c’erano ancora i nostri ultras in Curva Sud e quando tutti corsero a festeggiare da loro, potevamo vederli saltare e urlare lassù in alto. Lo stesso è accaduto ad aprile, quando abbiamo battuto la Lazio 2-1 fuori casa. Tonali segnò al 92° minuto, saltò i cartelloni pubblicitari e lo stadio esplose. Ricordo ancora le facce dei singoli tifosi che stavano perdendo la testa per la pura gioia. Anche quando sei in partita e concentrato su quello che stai facendo, quando i tifosi impazziscono in quel modo ti colpisce come un’onda d’urto. La cosa che non si capisce di San Siro dalla TV è il frastuono. Lo senti davvero. Ti toglie il fiato e allo stesso tempo ti dà nuova vita.
Tomori su Zlatan Ibrahimovic
“So cosa state pensando e, sì, nella vita reale è esattamente così. Ricordo che quando arrivai a Milano per la prima volta mi chiese dove alloggiavo. Poi mi comunicò che eravamo vicini di casa. Disse: “Sì, abito nell’edificio accanto al tuo. Il mio appartamento è quello all’ultimo piano… così Dio può vegliare sulla sua città”. Ma è anche il più forte, il più flessibile e quello che si impegna di più nella squadra, anche a 41 anni. È una macchina. Non ci sono altre parole per descriverlo. E parla sempre con quel vocione roboante alla Zlatan, facendoti discorsini e dandoti consigli. Potete guardare qualche video sui social media. Lo vediamo davanti a noi, ogni giorno. In quelle partite finali, ci ha mantenuto lucidi. Ricordo che andammo negli spogliatoi all’intervallo dell’ultima giornata contro il Sassuolo in vantaggio per 3-0. Non credo di essere mai stato così felice in vita mia. Guardavo i miei compagni di squadra che sorridevano: “Ce l’abbiamo fatta ora”. Ma che Zlatan lo notò subito, che ci stavamo lasciando andare e disse: “Nessuno deve ancora sorridere!!! Ci sono ancora 45 minuti!!!” Smettemmo di sorridere. Quarantacinque minuti dopo eravamo campioni”.
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Cosa vuol dire giocare nel Milan per Fikayo Tomori?
“Le 24 ore dopo il Sassuolo sono state una follia. Non proverò nemmeno a descrivere la sfilata del trofeo. Se non l’avete ancora fatto, andate a vedere i video… vi aspetto. Nella mia testa, avevo un piccolo pensiero: “Immagina se vincessimo la Champions League”. La sera dopo la partita con il Sassuolo, sono tornato a casa mia per stare con i miei genitori. Erano venuti in Italia in aereo, ma non allo stadio: mio padre non guarda mai le mie partite. Mai. È troppo nervoso. Invece va a messa. Ma quel giorno, ha deciso di rischiare un infarto e ha guardato la partita a casa mia. Questo vi fa capire quanto importante fosse per lui. Quella sera – 16 mesi dopo aver visitato il museo del Milan senza davvero credere a quello che mi stava succedendo – io e mio padre abbiamo festeggiato insieme. Gioco nel Milan e ho vinto lo scudetto. È successo davvero. Ed è stato meglio di quanto avessi mai potuto immaginare. Mi piacerebbe poter ritrovare quel tifoso che mi ha preso per le spalle in campo a Sassuolo. Se potessi, lo prenderei io per le spalle e gli direi nel mio miglior italiano: Ora capisco. Ora capisco cosa significa. E spero che voi capiate cosa significa per me”.
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