il 13/11/2020 alle 17:06

Tommaso Harry Potter Pobega: poche magie, tanto studio

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Siamo in tema, visto che sta partendo, per la seconda volta nel 2020, la maratona completa dei film di Harry Potter.
Ma non è la saga del mago della Rowling ad interessarci particolarmente. E a discapito del soprannome, che gli è stato dato nelle giovanili per gli occhiali tondi che porta fuori dal campo, Tommaso Pobega con Harry ha poche similitudini. E’ più un incrocio tra Hermione Granger e Neville Paciock. Non ha quel talento sconfinato e quella capacità di fare magie in campo che solo i predestinati hanno, ma studia gli avversari, tanto, e lavora, tantissimo. Questa è la sua grande forza, il sapersi migliorare grazie al lavoro quotidiano.
Non sarà mai Jude Bellingham o Dominick Szoboszlai, per rimanere a due giovanissimi che hanno le stimmate dei campioni. E azzardo anche che non diventerà mai nemmeno Kevin De Bruyne.
Ma Pobega è un lavoratore, spesso oscuro all’interno della partita, che se non noti non sempre è un male. E’ il destino di tanti centrocampisti, meno si notano più fanno bene il loro lavoro. Tommaso è così, sempre preparato, come Hermione, che viene fuori alla distanza e tira il colpo di spada decisivo a sorpresa, come Neville. Chi mai avrebbe scommesso su quello sfigatello di Neville Paciock che si fa pietrificare alla fine de “La Pietra Filosofale”? Bella, quanto triste, storia, ma personaggio tutto sommato secondario. Pobega era considerato un po’ così, buon giocatore, ma tutto sommato non baciato da un grande talento.
E quando non ci pensa la natura, o compensi con la testa e la fatica o puoi salutare e dedicarti ad altro.

Questione di scelte

La testa, quella strana bestia che ne abbatte tanti. Per Pobe, così lo chiamano ormai tutti (Harry rimane solo per i fedelissimi), la testa invece è stata la marcia in più. Non solo per il lavoro quotidiano, per la resilienza mostrata in campo e per la voglia di non mollare mai. La testa è stato il suo punto di forza, insieme all’umiltà, quando ha scelto dove andare a giocare.
Non è importante la categoria, è importante il progetto. Meglio una Serie C giocando sempre, che una Serie B dove il posto è costantemente a rischio. A qualcuno sicuramente fischieranno le orecchie. Qualcuno che ha più talento puro, probabilmente, del figlio di Trieste, ma che ha peccato di quella che ad Aristotele piaceva chiamare hybris e che i romagnoli definiscono molto più semplicemente sboronaggine.
Ecco, Pobega è tutto tranne che sborone, a volte sembra un po’ freddo o distaccato, ma è il suo carattere come quello di tanti triestini, se ne sta sulle sue, deve prima capire chi sei per fidarsi. E sportivamente ha scelto le persone giuste di cui fidarsi.
Nel 2018 sceglie Terni e la Ternana a discapito di tante chiamate dall’alta Serie C e dalla bassa Serie B, lui ne parla anche con Gattuso, suo mister a inizio stagione in primavera, e il consiglio che gli arriva è unanime: vai dove puoi giocare e si fidano di te. Lavora, suda e impara. Le tre regole base che ha dato Rino appena arrivato tra i giovani rossoneri. E non è un caso che Pobega, con Brescianini e Torrasi, fosse uno dei più apprezzati in assoluto. E l’anno di Serie C si è dimostrata la scelta giusta in assoluto per spiccare il volo verso l’alto.

Momenti “storici”

Inutile che io stia qui a ripercorrere gli ultimi suoi tre anni, li conosciamo bene, chi più chi meno, tutti. Così come è superfluo evidenziare i miglioramenti fatti negli ultimi due anni lontano dal Milanello, tanto che il Milan quest’estate, un’estate di diaspora dalla generazione dei ’98 e ’99, gli ha rinnovato il contratto e lo ha aggregato in prima squadra.
Maldini e Massara su di lui credono parecchio, lo reputano un giocatore da Milan e che nel Milan del futuro potrà trovare posto.
Ma se del doman non v’è certezza come scriveva Lorenzo il Magnifico (Canzone di Bacco, 1490), la brevissima carriera di Pobega lo vede già presente nella storia di due società: Pordenone e Spezia. E’ stato titolare nella prima dei ramarri in Serie B e così anche per la squadra ligure in Serie A quest’anno. Lo scorso anno in Pordenone-Frosinone si è pure tolto lo sfizio di essere il primo goleador e il primo doppiettista della storia neroverde nella categoria cadetta.
Con la squadra di Italiano, questa stagione, ci ha messo un po’ di più a segnare il suo primo gol in Serie A. Ma il tempo scenico è perfetto, quasi più da palco teatrale che da schermo cinematografico: alla Juventus, contro il portiere più vecchio della Serie A, Buffon. Gigi che, quando Pobega è nato, nel 1999 aveva già due campionati interi alle spalle. Un gol generazionale.

La crescita in zona gol

Un gol che è significativo, che rappresenta al meglio la crescita del ragazzo. In primavera non segnava praticamente mai (3 gol in 52 partite), nelle ultime due stagioni, più l’inizio dell’attuale, ha sempre migliorato il suo bottino. Più si alza la categoria, più cresce il suo rendimento.
Devi essere fortunato, sicuramente, a trovare il maestro giusto e l’ambiente che ti calza a pennello, ma poi devi metterci anche tanto del tuo. E nella sua trasformazione in mezz’ala di inserimento c’è tanto di Attilio Tesser e tantissimo di Tommaso Pobega. Senza magie e colpi di bacchetta, ma con tanto studio, qualche errore e molta forza di volontà.
Dopo i 3 gol a Terni e i 5 a Pordenone, oggi in Serie A il conto dei gol del 26 bianconero dice 2. Ma con ancora 31 partite di campionato da giocare e la totale fiducia di un allenatore giovane ed emergente come Vincenzo Italiano.
E due sono anche i gol, i primi della sua carriera, con cui ha mandato al tappeto l’Islanda e assicurato un vantaggio importante all’Italia U21 per la qualificazione agli Europei di categoria, per i quali la sua candidatura sta diventando sempre più forte. Così come la sua voglia di dimostrare di poter valere il Milan, che in estate ha scommesso su di lui.
E allora, via gli occhiali, giù la bacchetta. Non servono grandi magie, ma solo la continuità del lavoro quotidiano.
 
Matteo Vismara

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