L’ex giocatore del Milan ricorda quella squadra formata da fenomeni, c’è fiducia per il futuro: Thuram però andava preso
Il Milan si gode questa pausa nazionali da solo in cima alla classifica, questo scenario era difficile da immaginare dopo la brutta batosta nel derby: sfida segnata da una perla di Marcus Thuram. Proprio da questo è partito l’ex Mathieu Flamini, il rimpianto per non aver acquistato l’attaccante dell’Inter: in fin dei conti però la squadra di Pioli si è rafforzata, soprattutto in centro al campo. Flamini ha voluto poi ricordare i suoi tempi, quel Milan stellare di cui si sentiva parte integrante.

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Flamini-Milan: il passato, la squadra attuale e Thuram…
Mathieu Flamini, ex centrocampista del Milan, ha rilasciato un’intervista a Sportweek:
“Mi guardavo attorno e vedevo giganti, da Maldini a Seedorf: uomini intelligenti prima che campioni. Lì sentivo di appartenere a qualcosa più grande di me, una bandiera importante per milioni di persone. Ero già uomo, ma mi sono sposato con il Diavolo”.
“Apprezzavo Tonali, ma dobbiamo rispettare la scelta sua e del club. Forse oggi la squadra è ancora più forte con Reijnders e Loftus-Cheek in mezzo, hanno aggiunto dinamismo e qualità. E Pulisic è una punta di livello internazionale. Avrei voluto il sesto francese perché Thuram era vicinissimo ed è forte, è un peccato non sia venuto. Però mi tengo il giusto mix che abbiamo: giovani come Kalulu e Adli, campioni come Theo, Maignan e il vecchio leone Giroud, un amico e un grandissimo”.
Nuova vita per l’ex centrocampista rossonero
Da 15 anni ha fondato la GfBiochemicals, l’azienda nata da un progetto del Politecnico di cui è poi diventato a.d. Oggi offre un’alternativa di origine vegetale ai prodotti derivati dal petrolio.
“Il calcio ti insegna a gestire lo stress e la pressione. Poi in campo impari il sacrificio, la fatica, la resilienza, doti di ogni imprenditore. E sai che bisogna sfidare se stessi, che serve dedicarsi alla professione totalmente se si vuole avere successo. Senza scordare l’importanza del lavoro di squadra: i compagni e i collaboratori vanno sempre ascoltati”.
Se non fosse nato a Marsiglia, col mare davanti agli occhi, oggi avrebbe la stessa sensibilità sull’ambiente?
“Probabilmente no, sarei un uomo diverso. Mio padre faceva immersioni e da bambino raccoglievo la plastica dalla spiaggia con lui. Vedevamo quale disastroso impatto può avere il petrolio. Nella mia vita ho amato due cose: la natura e il calcio”.
A che punto è la vostra ricerca?
“Per dieci anni abbiamo sviluppato una tecnologia per creare elementi di origine vegetale, più sostenibili e sicuri rispetto a quelli di origine petrolifera, e necessari a tagliare il 90% delle emissioni. Poi sono arrivate le certificazioni per entrare nel mercato, parlo di 150 brevetti circa. Adesso collaboriamo sempre più con colossi industriali chiamati alla transizione ecologica per commercializzare su larga scala in più ambiti: vernici, cosmetici, cura delle persone e della casa”.
Anche il calcio è un’industria: fa abbastanza contro l’inquinamento?
“È un’industria diversa, porta la gente a stare insieme, si nutre di amore. Perciò le sue istituzioni hanno una forte responsabilità sociale e politica. Il nostro sport va sempre più “defossilizzato”, a partire dalla riduzione dell’uso della plastica negli stadi fino a nuove strategie di sostenibilità. È la consapevolezza dell’emergenza ambientale che conta: i giocatori possono aiutare lanciando i messaggi giusti”.
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