Il percorso di Stefano Pioli con i colori rossoneri non è mai stato, fin dal primo giorno, qualcosa di scontato o banale. O meglio, più che scontato, Stefano stesso non ha mai potuto dare per scontato nulla e forse durante la sua prima stagione, persino i risultati positivi, da sempre i migliori alleati degli allenatori, potevano non esserlo o non essere abbastanza per farlo restare saldo sulla sua panchina rossonera.

Ebbene si perché Pioli arriva al Milan con un piede già fuori Milanello, gli attribuiscono i tratti del classico traghettatore che a fine stagione, al di là di come terminerà, dovrà lasciare il posto alla figura moderna di turno, che oltre a fare l’allenatore avrebbe anche vestito gli abiti del direttore sportivo o tecnico, insomma un po’ di tutto.
Nel mentre però, per quei mesi transitori, che sembravano un po’ sospesi nell’etere, al campo ci avrebbe pensato lui, che invece a quei risultati di cui vi parlavo prima, ci pensava, eccome.
Ci pensava si, ma soprattutto credeva che quei risultati se fossero stati positivi avrebbero potuto cambiare il corso delle cose e alla fine, ha fatto bene perchè è andata proprio cosi.
A confermarlo, è Rolando Maran, diventato allenatore proprio insieme a Stefano, compagni di banco a Coverciano e in tante serate nel centro sportivo tricolore.
“Nel calcio ci sono tanti luoghi comuni che purtroppo non rispecchiano in realtà le cose reali. Stefano ha dimostrato di essere in grado di non farsi condizionare dalle chiacchiere che sentiva e deve essere ancora più orgoglioso perchè ha convinto con il lavoro la proprietà di quello che poteva essere il suo percorso al Milan”.
Il lavoro, parola piena, maiuscola, che ha sempre contraddistinto la carriera di Pioli, da allenatore così come da giocatore. Chi l’ha allenato parla di lui come un uomo che probabilmente aveva la carriera da tecnico scritta tra le pagine del proprio destino.
“Ciò che è ora lo era anche da calciatore – ci spiega Luciano Chiarugi, suo allenatore alla Fiorentina insieme a Giancarlo Antognoni nel ’92-93 – Faceva il suo compito sempre nella maniera più giusta possibile, sbagliava poco, non protestava mai, era sempre un ragazzo pacato e capiva tante situazioni, era già forse allenatore perchè già all’epoca era un equilibratore in campo”.
4-5 anni dopo uno Stefano ancora più maturo è Alberto Cavasin a raccontarcelo, suo allenatore al Fiorenzuola nel ’97-98: “Quando l’ho allenato era un mio punto di riferimento per età, caratteristiche e comportamenti. Si notava che aveva un profilo da conduttore di uomini, era già tranquillo, un leader, una persona ponderata che fotografava ogni situazione nella giusta maniera”.
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Sono diverse le parole che hanno segnato e stanno ancora caratterizzando la carriera di Stefano Pioli, il lavoro, come abbiamo già detto è una di queste, non meno però della pazienza, pazienza che ha avuto quando la Fiorentina lo ha esonerato dopo la vicenda Astori e il rapporto splendido con i giocatori viola, pazienza all’inizio della sua avventura al Milan nel far iniziare a quadrare tutto, pazienza quando nonostante il percorso notevole non viene ancora considerato un big.
“È in ombra perché caratterialmente lui è così – spiega Chiarugi – dice sempre cose essenziali, giuste, che non lo portano a esaltarsi quando ottiene grandi vittorie o a demoralizzarsi quando ci sono grandi sconfitte. Ci sono allenatori che usano alcuni momenti o gare per esaltare il proprio lavoro invece Stefano rimane sempre con i piedi per terra e questa è sua grande dote”.
Insieme all’umanità, che è andata sempre di pari passo al suo lavoro sul campo.
“Questa squadra ha un’anima, ed è così quando c’è un gruppo che reagisce ai cali – sempre Cavasin sottolinea – questa è una squadra che vuol bene al suo allenatore perchè ha sempre reagito da gruppo. Stefano ha modi umani per fare il suo lavoro.
Mi ha colpito come abbia dato subito l’idea di saper fare l’allenatore di alto livello: ha sempre messo al posto gusto il giocatore giusto, sapendo quale gioco voleva fare, non perdendosi dietro ad alchimie tattiche o invenzioni particolari che poi non pagano. Ha saputo far rendere al meglio i propri giocatori e questa è la miglior qualità per me per un allenatore.
Oggi il Milan sviluppa un tipo di gioco che definire moderno è riduttivo ma è efficace, bello da vedere, c’è aggressività, ci sono ripartenze veloci, c’è qualità, sicurezza nella fase di non possesso palla, è una squadra che gioca come oggi si sviluppano le più grandi squadre che sono al top in Europa e soprattutto la squadra è sempre stata presente nonostante gli infortuni, non ha mai toppato clamorosamente e infatti non a caso è ai vertici della Serie”.
Umanità che ovviamente e direi purtroppo è trasparita in maniera importante quando la Fiorentina è stata colpita dalla tragica morte di Astori.
“Abbiamo vissuto insieme purtroppo la tragedia di Davide e lui in quella situazione ha dimostrato veramente il suo valore dal punto di vista professionale e umano – chiarisce Giancarlo Antognoni, suo allenatore con Chiarugi e poi suo dirigente in quel periodo – È un ricordo negativo ma che lo ha plasmato e migliorato sotto l’aspetto comportamentale con i giocatori, con cui ha un rapporto ottimo come ha sempre avuto, una sorta di padre, proprio per questo poi la squadra gli da il massimo”.
Padre, umiltà, umanità, lavoro, allenatore, le parole da scrivere Stefano sono ancora tante ma le prime pagine presuppongono davvero qualcosa di grande.
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photocredits acmilan.com