Il Milan di Silvio Berlusconi doveva vincere e convincere. Dopo l’epopea sacchiana, per il presidente rossonero due punte e difesa a quattro erano diventati parte fondamentale del dogma calcistico rossonero. Tutti gli allenatori che hanno provato ad andare oltre i consigli del presidente, si sono in qualche modo ritrovati a doversi confrontare con lui, anche a mezzo stampa.
Ne sa qualcosa Alberto Zaccheroni, il più ‘eretico’ dei tecnici rossoneri durante l’era berlusconiana. Chiamato a sostituire Fabio Capello, l’allenatore romagnolo si presentò a Milanello nell’estate del 1998 forte degli ottimi risultati conseguiti alla guida dell’Udinese.
E proprio a Udine Zac aveva maturato quella proposta tattica che prevedeva una linea difensiva composta da tre difensori centrali. Una vera difesa a tre (non a cinque camuffata) mutuata dal Barcellona di Cruijff. Rispetto ai blaugrana, Zaccheroni aveva però proposto una linea di centrocampo a quattro, con due interni affiancati da due laterali con caratteristiche prettamente offensive.
Si arriva così a quel Milan, che schierava Abbiati fra i pali (titolare dal 24 gennaio, vittoria a Bologna, in sostituzione di Seba Rossi) Maldini, Costacurta e Sala (o N’Gotty) in difesa; Helveg, Albertini, Ambrosini e Guglielminpietro a centrocampo; Boban (o Leonardo), Bierhoff e Weah in attacco. Con questa formazione tipo e con l’apporto fondamentale della panchina (soprattutto di Maurizio Ganz, autore di 5 reti che valsero 8 punti), il Milan conquistò il suo 16° scudetto, nell’anno del centenario club, dopo una fenomenale rimonta ai danni della Lazio. Rimonta che fu costituita da sette partite vinte consecutivamente e che coincise con un cambio di modulo, con i rossoneri che passarono al 3-4-1-2 con Boban trequartista alle spalle delle due punte.
Fu, quello, un momento storico durante il quale le tre punte (novità in casa Milan) erano argomento molto gettonato e il 3-4-3, forte dei successi di Zaccheroni e di Malesani (anche se il suo era più un 3-4-2-1) era sulla bocca di addetti ai lavori, fans e media.
Dal punto di vista del modello di gioco, il Milan di Zac cercava di costruire dal basso (solo 5 a partita i rinvii di piede di Abbiati, contro una media di 6.9 degli altri portieri della serie A in quella stagione), invitando i propri difensori centrali a giocare palla senza remore. La risalita del campo era affidata ai centrocampisti. Fin da subito comincia quel ‘gioco delle coppie’ che caratterizzava l’interpretazione del 3-4-3 di Zaccheroni: i movimenti infatti erano combinati, con il giocatore più vicino al portatore di palla che dettava il suo e con il compagno più vicino che ne eseguiva uno opposto.
Così, i centrocampisti centrali lavoravano sempre in corto – lungo o, nel caso dei giocatori esterni, sullo stretto largo. Ad esempio, con palla al centrocampista centrale di destra, la punta esterna poteva restare larga o venire all’interno del campo mentre il laterale di centrocampo sul lato palla si doveva muovere di conseguenza. In pratica, ogni giocatore aveva un punto di rifermento nel compagno più vicino, in modo da legare i giocatori a due a due. Lo smarcamento avveniva idealmente per linee diagonali, con tempi di gioco dati dalla presa visione del compagno in possesso palla.
Una soluzione alternativa a quanto esposto era costituita dalla palla lunga per la spizzata di Bierhoff, giocata attuata anche in transizione, tanto è vero che, al termine della stagione, Abbiati aveva giocato 51 palloni verso l’ex centravanti dell’Ascoli e Sala ben 118.
Questo anche in fase di non possesso, dove i riferimenti erano la palla, il compagno sul lato forte, l’avversario su quello debole. In generale, il Milan in fase difensiva tendeva ad aspettare gli avversari con Bierhoff appena sopra il cerchio di centrocampo, con la squadra corta e stretta, allo scopo di creare spazio oltre la linea difensiva avversaria da attaccare poi una volta riconquistata palla attraverso un’azione combinata di pressing e raddoppi.
Con questa filosofia di gioco Zaccheroni riuscì a riportare il Milan sul tetto d’Italia, dopo le deludenti stagioni precedenti, segnate dal fallito esperimento Tabárez e dai ritorni infruttuosi di Sacchi e Capello.
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