Per sostituire Carlo Ancelotti, al termine della stagione 2008-09, il Milan decide di affidarsi ad un’altra bandiera rossonera, stavolta più recente, nella figura di Leonardo Nascimento de Araújo.
Per il Milan si tratta di un anno di ripartenza. Il club ha appena salutato il ritiro dall’attività agonistica di Paolo Maldini e la cessione di Kaká al Real Madrid (dopo 6 stagioni in rossonero), oltre al ritorno di Shevchenko al Chelsea. I rinforzi (Klaas-Jan Huntelaar, Oguchi Onyewu, Massimo Oddo e Ignazio Abate) non si riveleranno all’altezza dei partenti. Alla fine, il Milan riuscirà comunque ad arrivare terzo in classifica, anche se a dieci punti dalla Roma seconda e a dodici dall’Inter campione.
A segnare in negativo quell’annata ci sono i rovesci nel derby (0-4) e il crollo col Manchester United in Champions, con 7 reti subite nel doppio confronto degli ottavi. Conclusa la stagione, Leonardo saluta e se ne va, approdando sull’altra sponda dei Navigli esattamente come aveva già fatto Ilario Castagner molti anni prima.
Dal punto di vista tattico quella stagione si segnala però per una novità: il modulo utilizzato dal tecnico brasiliano, il cosiddetto ‘4-2-fantasia’. Dopo un inizio di campionato non facile col 4-3-3 (con 6 punti conquistati in 7 partite) Leonardo decide di varare il nuovo assetto per la partita successiva, in casa contro la Roma. I rossoneri vincono (2-1) e inanellando una serie positiva di risultati, tanto da far pensare ad un certo punto a loro come possibile anti-Inter.
In cosa consisteva esattamente il modulo impostato da l’ex campione del mondo di Usa 94? In pratica, la formazione base prevedeva Dida fra i pali; una linea difensiva a quattro composta (da destra a sinistra) da Abate, Nesta, Thiago Silva e Antonini; centrocampo con Pirlo appaiato ad un interno di sostanza (Gattuso o Ambrosini); Seedorf trequartista dietro Pato, Borriello e Ronaldinho. A questi si aggiunse poi a gennaio David Beckham. In pratica, un 4-2-1-3 o, se si vuole, un 4-2-3-1 fortemente sbilanciato in avanti.
L’idea di base (come ebbe a dire lo stesso Leonardo alcuni anni dopo) era quella di utilizzare tutto il talento offensivo a disposizione, senza dover sacrificare di volta in volta qualcuno fra i vari Ronaldinho, Pato, Pirlo o Seedorf.
All’interno di questo contesto tattico, il Milan schierava Ronaldinho e Pato sulle fasce per dare ampiezza e allargare le maglie della difesa avversaria, lasciando Borriello come riferimento più avanzato. In Pato, Leonardo aveva un laterale abile ad attaccare la profondità mentre, nell’ex Barcellona, trovava un giocatore che amava più ricevere palla sui piedi, anche centralmente. Schierando contemporaneamente due esterni di quel livello, i terzini avversari erano inoltre più preoccupati di contenere che si salire.
Una funzione determinante per la fase offensiva rossonera la svolgeva poi Seedorf. L’olandese veniva utilizzato da unico trequartista (contro i due previsti da Ancelotti la stagione precedente) col compito di smarcarsi dietro il centrocampo avversario, fra difensore ed esterno avversario. Quando riusciva a ricevere palla libero, Seedorf utilizzava il suo bagaglio tecnico e tattico per trovare la giocata giusta, avendo tre riferimenti davanti e potendo anche lui inserirsi in zona gol (saranno 5 le reti realizzate dall’olandese in campionato). Inoltre Seedorf poteva abbassarsi per aiutare la fase di primo possesso della squadra, dando così un’alternativa al Milan quando gli avversari schermavano Pirlo. In fase difensiva invece l’olandese aveva il compito di coprire il metodista avversario o di abbassarsi sulla linea dei centrocampisti, in posizione centrale o più esterna.
Certamente, con una squadra ultra-offensiva esisteva qualche rischio in fase di non possesso (soprattutto in transizione, col rischio di difendere con 7 giocatori soltanto), anche se tutti gli attaccanti cercavano di aiutare e, al termine della stagione, il Milan fu comunque la terza miglior difesa del torneo con 39 reti subite. Di contro, in situazione di contropiede a favore la squadra aveva già tre riferimenti sopra palla da poter sfruttare.
La convinzione del tecnico rossonero era che i vantaggi di un tale atteggiamento superassero gli svantaggi, motivando nuovamente una squadra composta da giocatori che in carriera avevano già vinto praticamente tutto. Con una squadra così offensiva, alla perenne ricerca del gol, Leonardo riuscì dunque a stimolare i propri giocatori che ora si trovavano a giocare in un undici costruito per segnare un gol più dell’avversario e nel quale la prospettiva era quella che un po’ tutti fossero messi nelle condizioni di arrivare al tiro Non a caso, furono ben dieci i giocatori a realizzare almeno una rete in campionato.
Michele Tossani
Immagine Articolo tratta da: AcMilan.com
