Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Arrigo Sacchi, fresco vincitore del Premio del Presidente UEFA 2022, ha commentato la frase: «c’è un calcio prima di Sacchi e uno dopo».

Proprio così, Sacchi?
«Non posso dirlo io, ma credevo in un calcio di valori e di persone, un calcio collettivo. Al Milan per la prima volta trovai campioni. Io volevo gente non affermata. Furono diffidenti, ma bravissimi, non prevenuti. Al Rimini furono prevenuti. Parlando dei candidati a quella panchina, un giornalista elencò gli allenatori e, dopo Sacchi, aggiunse “non facciamo certi nomi”…».
A chi si è ispirato?
«Da bambino persi la testa per il Brasile. Poi venne il Real Madrid delle cinque Coppe Campioni di Kopa, Di Stefano, Puskas, Gento. Infine, il calcio olandese. Noi italiani, al massimo, abbiamo insegnato l’attenzione, la concentrazione, perché non giocavamo mai in un undici. Sempre un difensore in più del numero di attaccanti rivali. Eravamo fortissimi nei contropiede, ma dopo 80 metri si arrivava stanchi morti. E se le ripartenze fossero cominciate più avanti, nella metà campo avversaria, non sarebbe stato più facile?».
Chi si è ispirato a lei?
«Come ha detto Costacurta, “quel Milan l’hanno copiato in tutto il mondo eccetto in Italia”. Per la verità non è più così, però lo fanno i peones, mi lasci dire. Una volta le piccole andavano a Milano e Torino a fare le barricate, ora vengono a giocare. I tecnici hanno conoscenze. Il problema è che tanti grandi club italiani sono gestiti da tattici, bravi, per carità, ma non da strateghi».
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Chi le piace, allora?
«Ma tanti. Sarri, Gasperini, alcuni giovani, Italiano, De Zerbi anche se gli manca la fase difensiva che è una proiezione di quella offensiva. Conte: mi ha detto che ha copiato tutti gli esercizi che faceva con me. Uno che dà la vita e studia: per questo è un vincente, con un po’ di coraggio in più farà grandissime cose. E Ancelotti naturalmente: ha vissuto tanti tipi di calcio e ha fatto tesoro di tutti».
Nel suo Milan c’è oggi Pioli…
«Stefano è sulla strada giusta. Deve scordarsi il tatticismo. Deve dare uno stile da Milan, riconoscibile. Una volta Gullit mi disse: “Mister, ma se non riusciamo a segnare perché negli ultimi dieci minuti non lanciamo palloni alti in area come tutti?”. Gli risposi: “Perché se per caso facciamo gol poi non giocheremo così solo per dieci minuti…”».
Eredi oggi?
«Ci sono grandi allenatori, Tuchel, Klopp, Guardiola, e le rivoluzioni sono ogni vent’anni. L’Olanda nei Settanta, noi nei Novanta, Guardiola con il Barcellona nel 2010, ma ultimamente anche lui oggi inventa di meno. Devi avere il coraggio di cambiare dopo quattro anni, mentre vinci: vede che anche il Liverpool non si ritrova? Il rischio è cadere nella trappola del successo come forse la Nazionale dopo l’Europeo: ti senti il più forte e…».
Come si colloca il suo Milan tra le grandi di tutti i tempi?
«Per France Football e per l’Uefa siamo il primo club, non l’ho detto io. Quando firmai al Milan, Berlusconi mi disse; “Dobbiamo essere campioni del mondo”. Siamo andati oltre il sogno. Ancelotti mi ha confessato di non aver capito la grandezza di quello che stavamo facendo. Se per questo, neanch’io».
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