I compiti di Pioli, lo sprono a Leao, qualche vecchio aneddoto e Milan-Juventus: Sacchi si espone a Gazzetta
Arrigo Sacchi tiene a analizzare, spronare e giudicare il Milan di Stefano Pioli in vista della gara contro la Juventus. Nella sua intervista concessa ai microfoni della Gazzetta dello Sport, l’ex allenatore rossonero si sbilancia anche su Rafa Leao, spiegando per quale motivo non lo schiererebbe tra gli undici titolari. Di seguito, tutte le parole di Sacchi.

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Milan-Juventus, Reijnders, Pulisic e Leao
Mister, che partita sarà domenica? Chi è più forte?
«Il Milan, molto nella partita dipenderà dal Milan. Se è un collettivo, deve giocare da collettivo: in quel caso metterà in difficoltà la Juventus, perché sappiamo già che la Juventus non riuscirà a giocare da collettivo. Difenderà con 10-11 giocatori e farà ripartenze, bene come sa».
Nello specifico, che significa?
«Ci sono delle regole. In fase difensiva, una squadra che resta in 25-30 metri fa molta meno fatica. Quando il Milan ha la palla, dovrebbe fare meno lanci possibile per non allungarsi e…».
Mister, un attimo. Pioli ha spiegato che usa i lanci per cercare i giocatori offensivi, quando gli avversari li lasciano in parità numerica. È così sbagliato?
«Pioli è uscito dal tatticismo del suo passato, ora per me ha un dovere: non confondere i giocatori. Continui a dare un gioco, a cercare il palleggio corto».
Perché è così importante?
«La Juventus aspetta un tuo errore per ripartire e vuole sfruttare angoli e punizioni: è una squadra concreta come quelle di Allegri. Se il Milan fa come lei e gioca sulle individualità, può perdere. Non dimentichiamo che la Juve ha speso più di tutti per gli acquisti, ha una squadra forte. Poi saranno importanti le marcature preventive… e avere un giocatore-frangiflutti che eviti di subire 7-8 contropiede come contro l’Inter».
Sospendiamo per un attimo il discorso e parliamo di singoli. Chi le piace nel Milan?
«Mi piace molto Reijnders, è molto bravo, è completo, legge la partita, si muove molto. Il Milan quest’anno ha buoni giocatori: anche Loftus-Cheek, finché è stato disponibile, è stato poderoso, ha forza».
Pulisic le piace?
«Pulisic non si muove male. Se è intelligente come dicono, perfetto. Il calcio sarà sempre più un gioco collettivo di intelligenza».
E Leao?
«Con me non giocherebbe».
Scusi, nel senso che per una o due partite lo lascerebbe in panchina?
«Sì, io prima di prendere un giocatore guardavo molto la persona. E se non nasci con un certo temperamento, è difficile acquisirlo. Leao avrebbe tanto, tantissimo, e credo sia assolutamente un bravo ragazzo. Nel calcio però si gioca in undici, tutti devono correre e avere una posizione sul campo. Da noi correvano tutti. Una volta mi chiamò Allodi: “Arrigo, vedo che fai correre Virdis. Allora sei bravo bravo bravo”».
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Mannari, Massaro e le scommesse
A proposito, parliamo per due minuti dei suoi Milan-Juve. Quale ricorda con più piacere?
«Quella volta in cui abbiamo vinto 4-0, con doppietta di un ragazzo che ricordo anche per una Porsche…».
Ma chi, Mannari?
«Mannari».
Che è successo con la Porsche? Non andava bene?
«Beh, non per lui. Anche io avevo la Porsche, ma lui era all’inizio… Ho sempre guardato i comportamenti, qualche giocatore l’ho perso, altri li ho recuperati».
Chi sono?
«Massaro mi chiamò garantendomi di essere cambiato: aveva ragione. Con Berti in Nazionale, uguale. Mi disse “le prometto che sarò il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via”. E così fu».
Pioli apparentemente ha uno stile più conciliante, ma con la squadra sa essere severo. Le piace?
«Pioli è un ragazzo d’oro. È cresciuto molto per me, è riuscito a portare una squadra italiana a giocare un calcio offensivo come collettivo. Succede raramente. Quando lavoravo nell’azienda di mio padre, mandavo scarpe in Germania e loro mi dicevano “pizza, mafia, catenaccio”. Mi sono detto “il catenaccio almeno lo voglio togliere” e con il Milan ci sono riuscito, anche se come nazione proviamo sempre a cavarcela con la furbizia».
E allora, che pensa di Fagioli, Tonali, del caso scommesse?
«È un dispiacere per me, mi dispiace anche perché nei miei anni con le nazionali giovanili ho conosciuto qualcuno dei protagonisti. Mi viene in mente un episodio. Al Parma, a metà anni Ottanta, lasciai due giocatori che erano con me da anni perché parlavano solo di soldi. La mente umana può pensare intensamente solo a una cosa alla volta e non possono essere i soldi».
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