L’ex allenatore del Milan Arrigo Sacchi ha scritto sulla Gazzetta dello Sport di Pep Guardiola e raccontato qualche aneddoto tra passato e presente. Di seguito, le sue confessioni sull’edizione odierna del quotidiano.

“Io e Pep ci siamo incontrati all’inizio degli anni Duemila – esordisce. Lui era ancora un calciatore, qui in Italia. Io facevo il direttore tecnico al Parma. Mi disse che aveva ammirato il mio Milan, che cercava di studiare quella squadra proprio come si fa sui libri di scuola. Ebbi l’impressione di un ragazzo molto curioso e molto umile: capii che aveva voglia di apprendere, di conoscere, di migliorarsi.
Se dovessi scegliere quattro parole che descrivono Guardiola non ho alcun dubbio: intelligenza, modestia, coraggio, idee. Lui, nella sua esperienza da allenatore, ha dimostrato (e continua a dimostrare) di possedere un’intelligenza rara, una dose di modestia che gli consente di ascoltare anche la lezione degli altri, un coraggio fuori dal comune e tante, tantissime idee che, con pazienza, riesce a far applicare ai suoi giocatori. Il calcio ha bisogno di uomini come lui, se vuole progredire e se vuole garantirsi un futuro di emozioni”.
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Poi, Sacchi parla anche del rapporto tra Ibrahimovic e Guardiola, mai stato idilliaco:
“Aveva avuto coraggio, aveva lanciato gente come Busquets e come Pedro, aveva deciso di puntare su Messi, soprattutto aveva saputo trasmettere le sue idee a tutto il gruppo che lo seguiva con la massima fiducia. Quando gli vollero comprare Ibrahimovic mi telefonò per chiedermi un parere. Gli dissi che era un grande giocatore, grandissimo, ma era un solista. Lui accettò la sfida, però i meccanismi della squadra non giravano più alla perfezione come prima. Guardiola è uno che crede prima di tutto nel gioco, studia il modo di migliorarlo per mettere in crisi l’avversario e per regalare emozioni alla gente, che è il suo vero obiettivo. Quante volte ci siamo trovati a parlare di spettacolo, di bellezza, di allegria!”.
Un’altra delle confessioni di Sacchi sul suo rapporto con Guardiola riguarda i loro contatti nel corso delle annate:
“Ci sentiamo spesso durante la stagione. Io gli mando un messaggio, lui mi risponde, oppure lui mi chiede un parere e io cerco di darglielo. Nella passata stagione, quando non vedevo il suo City muoversi come lui avrebbe desiderato, gli scrissi che faceva poco pressing, che il calcio è movimento, velocità, attacco degli spazi. Pep mi ha ascoltato, ha ragionato sulle mie parole e guardate come si muoveva bene il City di quest’anno.
So che sentiva parecchio il peso della finale contro l’Inter. Non aveva mai vinto la Champions con gli inglesi, nonostante il club avesse speso tantissimi soldi per accontentare tutte le sue richieste. Essendo un ragazzo molto intelligente e molto sensibile, avvertiva questa responsabilità e voleva a tutti i costi mettere la coppa in bacheca: lo voleva per i suoi ragazzi e per i dirigenti più che per se stesso, perché Pep, come dovrebbe essere per tutti gli allenatori, è uno che guarda prima agli altri, al gruppo, e poco si occupa del tornaconto personale”.
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