Arrigo Sacchi Milan

Sacchi: “Giovani del Milan da semisconosciuti al palco. Ecco le due mosse vincenti”

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Dopo la storica sconfitta del Milan ieri a San Siro contro il Sassuolo, Arrigo Sacchi ha rilasciato un’intervista a La Gazzetta dello Sport, pubblicata nell’edizione odierna. Innanzitutto, avverte: “Non è il caso adesso di sparare sulla Croce Rossa. Le cose non vanno bene, ma si può rimediare”.

Che cosa sta succedendo?

“Il Milan non è più un collettivo. Ha vinto lo scudetto giocando come una squadra e ora si sono perse quelle caratteristiche. Può capitare. Giocare “di squadra” non è un imperativo etico, ma permette di essere più efficienti”.

Come è potuto accadere?

“George Bernard Shaw sosteneva che il calcio, in novanta minuti, racchiude la storia universale. In una partita c’è tutto, e questo “tutto” può portare all’esaltazione o alla depressione. Il Milan era una squadra di grande movimento, i reparti sempre connessi e vicini, i giocatori si aiutavano. Giocavano come i padri fondatori avevano immaginato si dovesse fare: il calcio è uno sport collettivo e offensivo, mentre in Italia lo abbiamo sempre considerato uno sport individuale e difensivo. Il Milan si distingueva, era europeo. Ora non più”.

Che fare?

“Risolvere un problema alla volta. Se si vuole intervenire su tutto, non si combina granché. Pioli è stato bravissimo, adesso deve convincere i giocatori. Bisogna entrare nelle loro teste”.

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Prima mossa?

“Ritornare a essere una squadra. Nel Milan ci sono tanti ragazzi che non hanno molta esperienza e magari non sono tecnicamente al top. Se giocano individualmente, si perdono”.

E come si torna una squadra?

“Gli attaccanti devono rientrare e i difensori devono salire, così la squadra si accorcia. E poi distanze corrette, pressing e possesso palla con attacchi dello spazio”.

Secondo passaggio?

“Io ragionerei così: pensiamo a come si possono chiudere bene gli avversari, così se li anestetizziamo possiamo stare più tranquilli, prendere fiducia e diventare ottimisti, condizione necessaria per poter fare il nostro gioco”.

Si è chiesto il perché di un simile crollo?

“Con i giovani bisogna avere pazienza, molta pazienza. Questi ragazzi si sono trovati una condizione particolare: da semisconosciuti che erano si sono trovati, dopo aver conquistato meritatamente lo scudetto, improvvisamente proiettati sul palcoscenico. Questo può destabilizzare”.

Un fattore psicologico.

“Sì, adesso i problemi nascono dalla testa. Anche se può essersi aggiunto qualche problema fisico. Alcuni giocatori sono tornati dal Mondiale, forse erano stanchi: queste manifestazioni ti prosciugano”.

Non si vede ancora il contributo nei nuovi arrivati. Che ne pensa?

“È difficile entrare nei meccanismi di una squadra proprio nel momento in cui la squadra sta accusando qualche difficoltà. Certo, De Ketelaere ha buone qualità, però è alla prima esperienza in Italia, dobbiamo dargli il tempo di capire la nuova realtà. Ma ripeto, non è un solo giocatore che può risolvere il problema: è il Milan che tutto insieme deve tornare a essere una squadra. L’anno scorso, pur avendo speso meno di Inter, Juve e Roma, li ha messi tutti dietro. Un capolavoro. Oggi i ragazzi di Pioli sembrano sbadati”.

Bastone o carota?

“Non esiste un metodo migliore di un altro. Pioli conosce benissimo i suoi e sa come comportarsi con ognuno di loro. Ci sarà qualcuno che avrà bisogno del bastone e qualcuno della carota”.

Che direbbe lei se fosse l’allenatore del Milan?

“Una cosa sola, prima di entrare in campo per l’allenamento: dovete tornare a essere una squadra. Tocca a Pioli stimolare la reazione dei suoi giocatori”.

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