RITRATTI – Marco Van Basten

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Ritardo

No, proprio oggi non possiamo arrivare tardi allo stadio. Non ci succede mai e deve capitare proprio nella partita in cui forse torna Van Basten? Ma non scherziamo! Acceleriamo il passo ed entriamo a San Siro a partita quasi iniziata. Chi ha conosciuto il nostro stadio prima del rifacimento di Italia ’90 sa che, all’epoca, per i ritardatari rimanevano solo i posti sotto i piloni delle luci dello stadio; accontentarsi. Mi piazzo quindi nel primo posto decente che capita e il destino vuole che io sia, più o meno, in linea con l’area di rigore opposta alla Fossa dei Leoni.
Niente, oggi non si segna nonostante di fronte ci sia il non irresistibile Empoli di Salvemini e così Arrigo si decide: inizia il secondo tempo, fuori Virdis e dentro Marco Van Basten al rientro dopo il lungo infortunio di inizio stagione che ci ha permesso di vederlo solo nella vittoriosa trasferta di Pisa. Non succede niente per sedici minuti. Poi Marco estrae dal taschino una stilografica e mette la firma su due atti: un gol meraviglioso e un patto con i tifosi del Milan.

Ma cosa sta facendo?

Quando riceve la palla Marco è circa cinque metri fuori dall’area di rigore leggermente spostato a sinistra del portiere. La palla gli arriva da Carlo Ancelotti, con mano fasciata, controllo orientato verso la porta e finta di tiro. Stop! Prego? Noi non riusciamo a segnare e tu tiri da lì? Ma anche no, grazie. Leggero tocco per saltare un avversario in rientro e leggera pausa. Bravo, vai avanti che la mettiamo, finalmente!

“Sono un giocatore normale che ogni tanto fa cose eccezionali.”

Parole di Marco Van Basten alle quali non ho mai creduto. Semmai era vero il contrario, era un giocatore eccezionale che sapeva fare anche le cose normali. Ma, se dovessimo stare alle sue parole, potremmo tranquillamente dire che quel pomeriggio Marco ha fatto una di quelle cose eccezionali. Ha alzato la testa, ha guardato il portiere e mandato verso la porta un pallone secco, velocissimo e preciso che si è, in maniera quasi “logica”, infilato nella rete dell’Empoli. Una meraviglia, una delle tante. Una di quelle che lo capisci all’impatto del piede sulla palla che andrà bene. “Ma non tirare……gooooooooooooooolllllllllll”
Ma su quella palla c’era anche scritto un patto ferreo con i tifosi del Milan: “Voi ricopriteci di affetto, io vi porterò lontano”. Quel giorno ho preso la stilografica che mi porgeva il mio centravanti e ho messo la mia firma. Mai ritrattato, nessun cedimento.

Parola mantenuta

Taciturno, “antipersonaggio” nel mondo milanista dominato in quel periodo da quel fenomeno di calcio e immagine che era Ruud Gullit, persona di parola. Intendiamoci, non un carattere facile. L’ho visto con i miei occhi, mi avevano regalato un biglietto in tribuna rossa, mandare a quel paese davanti a tutti, compagni e tifosi, Arrigo Sacchi senza rispetto alcuno. Ma entrambe le parti hanno rispettato il loro patto. Noi per anni abbiamo riempito San Siro di gioia colore e canti arrivando, in un paio di stagioni, a chiudere la biglietteria: solo abbonamenti per lo stadio più bello del mondo. Marco, da parte sua, ci ha portato lontano, bomber e fiore all’occhiello di una squadra prima invincibile e poi imbattibile nell’arco di sei stagioni irripetibili.
Non sono stati i gol, tantissimi e bellissimi, ma quella sua maniera impareggiabile di stare in campo. Per chi ha vissuto il calcio di quel tempo è impossibile non ricordare che si trattava letteralmente di un altro sport. I campi in Italia non erano quelli di oggi, spesso si giocava su terreni agricoli prestati allo sport, e i difensori non erano quelli di oggi e facevano della forza fisica e della cattiveria la loro “griffe”; ma ve li ricordate Pietro Viercowood, Pasquale bruno, Jurgen Kohler e Rune Bratseth? Oggi, con l’attuale metro di giudizio, farebbero una partita in campo e tre in squalifica. Ma in quel calcio Marco, come Maradona per esempio, aveva quel modo di stare in campo che lo rendeva Cigno bianco in mezzo al fango.

Da qualche parte, in fondo all’armadio

Se avesse continuato a giocare sarebbe diventato un trequartista con i fiocchi e oggi probabilmente la storia del calcio e l’albo del pallone d’oro sarebbero diversi. Sicuramente avrebbe fatto felici tutti quei giocatori destinati al ruolo di centravanti del Milan. Per Papin avrebbero dovuto portare il pallottoliere. Ma gli dèi del calcio sono capricciosi e soffrono, spesso, di invidia e quella che avrebbe potuto essere una carriera irripetibile si è fermata su una caviglia maledetta rimanendo “solo” splendida. Ricordo di avere letto che diversi tifosi del Milan offrirono la loro cartilagine della caviglia per darla al piede sacro di Marco. Ricordo di avere letto che un’equipe medica aveva impiantato con successo una cartilagine umana nella schiena di un topo per farla ricrescere e di avere provato un assurdo brivido di speranza in quel piccolo trafiletto. Ricordo di avere comprato Marco Van Basten a fantacalcio anche dopo il suo ritiro dal calcio e, in una stagione, di averlo pagato anche caro. Avevo firmato quel patto con lui, se fosse in lista oggi lo comprerei ancora. Marco era il nostro “numero 9” e aveva promesso di portarci lontano in cambio di affetto, nessun ripensamento. Mai.
Ricordo di avere avuto, da qualche parte in fondo ad un armadio una camicia rosa ed un giubbotto scamosciato e di essermi categoricamente rifiutato di indossarli dopo quella sera. Forse un giorno elaborerò il mio lutto e comprerò un giubbotto di renna e una camicia rosa ma la firma in calce a quel patto rimane: Marco Van Basten è il mio centravanti così come Paolo è il mio terzino sinistro, Gianni Rivera il mio “numero 10” e Franco il mio capitano con maglia “6” fuori dai pantaloncini.

“Don’t cry for me” –

Nel corso della conferenza stampa del suo ritiro Earving “Magic” Johnson, uno dei più grandi campioni della storia del basket americano, disse parlando del suo essere positivo al virus dell’HIV: “Non piangete per me perché ho avuto comunque la più bella delle carriere possibili”.
Allo stesso modo quando penso alla carriera di Marco e a quella maledetta cartilagine non so essere triste, non ci riesco. Marco era poesia, era gioia di giocare a pallone, bellezza del gesto perché quel bel gesto era il più adatto ed il più funzionale all’ottenimento del risultato migliore possibile.
Riesco solo a ricordare la sua immensa grandezza di cui i gol sono solo una parte. Volete una prova? Facilissimo. Quando chiedi agli appassionati di calcio quale è il gol più bello della carriera di Marco tutti rispondono “quel” gol, quella specie di sonetto shakespeariano che realizza contro la Russa nell’Europeo ’88 (realizzato, per la cronaca, contro il portiere di gran lunga più forte dell’epoca Rinat Dasaev). Bene, ne ha fatti almeno tre decisamente più belli, uno con il Milan (la rovesciata in Coppa Campioni) e due con l’Ajax (dribbling a tutta la squadra avversaria e pallonetto al portiere il secondo e una rovesciata fantascientifica il primo). Possibile? Possibile, c’è Youtube per provarlo.
 
Marco Van Basten era il calcio e oggi il calcio festeggia il compleanno di uno dei più grandi calciatori della storia. Buon compleanno Marco, centravanti del Milan e campione tra i più amati della storia rossonera. Senza esitazioni, mai.
Abbiamo firmato un patto, no?
 
Pierangelo Rigattieri

Rassegna Stampa

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