RICCARDO CUCCHI A RADIO ROSSONERA – “L’emozione non ha voce” cantava Adriano Celentano ma, non ce ne voglia il buon Adriano, permetteteci di dissentire. Certe emozioni “La voce” ce l’hanno, ce l’hanno davvero! E quando le emozioni si intrecciano, si mescolano, si confondono, con un pallone che rotolando sta per varcare una linea di una porta, beh allora quella voce non può che essere quella di Riccardo Cucchi, storico radiocronista di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Abbiamo già avuto il piacere e l’onore di ospitarlo all’interno di qualche nostra trasmissione in passato; oggi ci proponiamo di provare a ricalcare su “carta” i contorni della sua immensa figura professionale attraverso quest… Non vogliamo usare il termine intervista, quanto piuttosto, piccolo racconto che proverà a descrivere, senza presunzione alcuna, la radio, il personaggio e il calcio…
Iniziamo facendo un piccolo, grande passo indietro. Le chiedo di tornare bambino e descriverci quando ha iniziato a sperare e volere che raccontare lo sport diventasse la sua vita?
“Nel giorno in cui ho acceso la radio, che peraltro ascoltavo sempre, e ho sentito per la prima volta “Tutto il calcio minuto per minuto”. C’erano le voci di Carosio, di Ameri, di tanti colleghi della prima generazione; con Roberto Bortoluzzi in studio, Ciotti arrivò più tardi così come anche Provenzali… Ero un bambino e chiuso nella mia stanza, evidentemente grazie alla radio, riuscivo a vedere le maglie colorate e il prato verde. Ho imparato ad amare il calcio ascoltando la radio e in quel preciso momento ho sognato di poter fare quel mestiere“.
Per molti, lei è una delle storiche voci di “Tutto il calcio minuto per minuto” ma si è mai chiesto cosa avrebbe fatto nella vita qualora non fosse esistito il calcio? Da ragazzo che altre passioni aveva?
“Il mio primo sogno è sempre stato quello di fare il radiocronista ma il mio secondo sogno era fare il musicista. Amo la musica, suonavo il violino, cominciai a suonarlo da ragazzo. Se non avessi fatto altre scelte, chissà, sarei potuto diventare un musicista ma non so quanto bravo. La musica la seguo, è una mia grande passione. Ascolto musica classica e lirica ma amo tutta la musica che dopo il calcio è la mia seconda passione“.
C’è mai stato un momento in cui avrebbe potuto dedicarsi alle telecronache e non alle radiocronache? Se sì, cosa l’ha spinta a rimanere sempre fedele al mezzo radiofonico?
“C’è stato un momento in cui mi è stato chiesto. In quell’occasione ho accettato di farlo per esigenze aziendali e per 2 anni, senza però lasciare la radio: ho lavorato in televisione e ho raccontato l’atletica leggera alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992. Ho proseguito fino al 1993 con altre telecronache di atletica leggera ma senza mai abbandonare la radio perché la domenica ero al mio posto in “Tutto il calcio minuto per minuto”. Durante la settimana e soprattutto durante l’estate facevo telecronache di atletica leggera. Quando mi fu chiesto di lasciare la radio e continuare a fare telecronache in televisione risposi di no e tornai a fare la radio perché la radio è la mia vera passione. Credo che soltanto attraverso questo mezzo io sia stato in grado di esprimermi al massimo delle mie possibilità“.
Cos’è che rende unica la radio rispetto agli altri mass media?
“La parola! Perché alla radio la parola è tutto. Mentre in televisione c’è l’immagine e la parola diventa in fondo una “didascalia”, in radio è la parola stessa ad essere immagine. Questo è il grande gioco che mi sono permesso di trasformare in lavoro, che ho avuto la fortuna di trasformare in lavoro: giocare con le parole per raccontare la realtà è qualcosa di affascinante, paragonabile soltanto alla scrittura o alla lettura di un libro. Credo che la radio sia il mezzo che più si avvicina alla letteratura, sono entrambe forme di comunicazione che giocano sulla parola. Attraverso la parola creano immagini in coloro che ascoltano o che leggono e ritengo che tutto ciò sia qualcosa di straordinario“.
La porto a fare un breve ma enorme viaggio tra i ricordi. Lei ha raccontato le principali imprese dell’Italia del pallone (sia come Nazionale che come squadre di club) ma anche quelle olimpiche. C’è un evento sportivo che è accaduto e non ci ha raccontato oppure che non è mai accaduto e che le sarebbe piaciuto raccontare?
“Nella mia carriera sono stato molto fortunato. Ho raccontato 8 Olimpiadi e vittorie straordinarie come quelle dei fratelli Abbagnale nel canottaggio, le medaglie d’oro della scherma italiana, Dorina Vaccaroni, Cerioni… Sono tutti personaggi di sport che io ho amato tantissimo come la scherma che dopo il calcio è il mio sport preferito. Con il calcio, e grazie ad esso, ho vissuto emozioni incredibili raccontando 7 Mondiali, Europei, finali di Champions League, decine e di decine di Scudetti. Sì, sono stato molto fortunato e non ho un rammarico se non fosse quello di non aver potuto fare una radiocronaca di calcio femminile: avrei davvero vissuto con piacere quest’emozione ma purtroppo quando ho lasciato la radio il calcio femminile non era ancora esploso in tutta la sua forza così come avvenuto negli ultimi tempi. Mi sarebbe piaciuto davvero tanto raccontare una partita giocata dalle ragazze che, tra l’altro, stanno crescendo tantissimo a livello tecnico, a livello di club ma anche soprattutto a livello di Nazionale“.
A proposito di calcio femminile, secondo lei finalmente in Italia si cominciano ad abbattere certi pregiudizi su questo sport? L’attuale “boom” del calcio femminile può essere considerato figlio di un singolo momento oppure nel nostro paese siamo sulla strada giusta per continuare a seguirlo con passione nel tempo?
“Non credo che questo boom sia casuale. Nello sport, specie nel calcio, nulla è mai casuale. In Italia sul calcio femminile, anche se in ritardo magari rispetto ad altre nazioni, si è fatto un gran lavoro. Apro una piccola parentesi sugli Stati Uniti: quando nel 1994, eravamo al seguito della nazionale italiana ai Mondiali, gli azzurri si allenavano in un college alle porte di New York e vi posso assicurare che nei tanti campi da calcio attorno ai quali si allenava la nostra Nazionale c’erano soltanto ragazze. Perché in America, in quegli anni, il calcio era fondamentalmente uno sport femminile. In Italia siamo un po’ in ritardo ma quello che è avvenuto in questi ultimi mesi, e il grande seguito delle azzurre nell’ultimo Mondiale l’ha dimostrato, è frutto di un grande lavoro della federazione italiana gioco calcio e delle società che hanno cercato di dare un impulso a tutto il movimento femminile. Resto convinto che quest’impulso continuerà nel tempo soprattutto se la federazione continuerà a dare attenzione al mondo del calcio femminile; la stessa attenzione che grandi club stanno dando: penso alla Juventus, al Milan, all’Inter, alla Fiorentina… Se tale processo non si fermerà e se ci sarà la giusta organizzazione, le ragazze diventeranno ancora più protagoniste di quanto non lo siano già oggi“.
Anno 2017, Inter-Empoli 2-0, la sua ultima radiocronaca per “Tutto il calcio minuto per minuto”: quali sono le emozioni che le riaffiorano pensando a quella partita?
“In quel giorno ho cercato soprattutto di non far vincere le emozioni rispetto a quello che era il mio lavoro: raccontare la partita. Ho cercato di contenere tutto il mio “vulcano” emotivo ma indubbiamente c’è stato un momento nel quale mi sono tremate le ginocchia ovvero quando la curva nord dell’Inter ha mostrato uno striscione di ringraziamento e di saluto nei miei confronti. Striscione che però ho voluto immaginare come un omaggio non solo nei miei riguardi ma anche nei riguardi di chi attraverso la radio ha raccontato nel passato e continua a raccontare anche nel presente il calcio. Sono convinto che i tifosi vivano con maggiore simpatia il racconto di natura radiofonica e dunque anche di chi ne è narratore perché un radiocronista è un po’ come tutti i tifosi presenti allo stadio: usa i suoi occhi per raccontare ciò che vede, esattamente come un qualunque spettatore. Probabilmente da questo punto di vista il radiocronista è più “vicino” al pubblico dello stadio rispetto a quanto può esserlo un telecronista“.
A prescindere dal mezzo utilizzato, che consiglio si sentirebbe di dare ai giovani giornalisti?
“Il mio consiglio è di essere leali! Leali con loro stessi e con i loro lettori, ascoltatori, telespettatori etc… Leali significa sinceri. Cito una bellissima definizione data dal grandissimo giornalista Enzo Biagi che definiva il nostro mestiere come l’essere testimoni della realtà. I giornalisti devono essere testimoni della realtà, devono essere leali, non dobbiamo leggere la realtà con gli occhi di chi ha un’idea preconcetta, non dobbiamo essere parziali, dobbiamo essere capaci di far sì che le persone si facciano un’opinione sulla base di una descrizione reale delle cose che vediamo. Sono contrario al giornalismo di parte, che si tratti di politica o di calcio o di qualsiasi altra natura; il giornalista deve rimanere “terzo”, essere un imparziale mediatore tra la realtà e tra coloro che ascoltano, leggono e/o vedono“.
Cosa ha significato e continua a significare il calcio per lei?
“Il calcio è la passione della mia vita. Fin da quando a 6/7/8 anni iniziavo a sentire la radio, nei momenti in cui mio papà mi accompagnò all’interno di uno stadio e vidi per la prima volta quel meraviglioso campo verde che catturò il mio sguardo. Una passione che per 40 anni è stata un’emozione da vivere davanti a un microfono ma che è assolutamente tale ancora oggi. La mia vita si è identificata con il calcio e lo stadio per me è un luogo naturale dove vivere. Ancora oggi mi piace entrare in uno stadio, salire i gradini, fermarmi a guardare l’erba del campo, godermi la partita, i gesti tecnici, vivere il tifo delle persone che sono allo stadio. Al termine della mia carriera da radiocronista ho dichiarato il mio essere tifoso della Lazio, mi sono concesso più di una volta il privilegio di andare a vedere la squadra biancoceleste in mezzo ai tifosi. Essere tifoso tra i tifosi dopo tanti anni in cui da ruolo ero obiettivo e terzo. Adesso posso permettermi di essere anche un po’ tifoso ma fondamentalmente come diceva Eduardo Galeano, grande scrittore sudamericano innamorato del calcio, mi sento un “mendicante” quando entro in uno stadio: un mendicante di bellezza, di poesia di gesti tecnici e di passioni. Questo per me è il calcio”.
Chiudiamo con uno piccolo spaccato d’attualità sui prossimi scenari futuri riguardanti le competizioni nazionali ed europee: Le eventuali “final four” per le coppe europee o i “Playoff e Playout” per i campionati possono essere dei cambiamenti che potrebbero risultare formule vincenti per le prossime stagioni o lei è più un “tradizionalista” in merito?
“Sono assolutamente un tradizionalista. Non ritengo che il calcio sia uno sport adatto per i Playoff, lo dico con estrema sincerità: a me non piacciono neanche quelli della Serie B. I Playoff vanno bene per il basket, che naturalmente ha un’altra dinamica, un’altra tradizione e un’altra storia rispetto al calcio, ma non credo siano adatti al calcio. Al momento non esistono regole scritte rispetto ad una situazione come quella che stiamo vivendo. Non è mai sostanzialmente successo, nemmeno durante la prima e la seconda guerra mondiale, che un campionato venisse interrotto. Successe nel 1915 e solo dopo qualche anno, 4/5 se non ricordo male, la federazione decise di assegnare lo scudetto al Genoa malgrado non si fosse mai disputata la finale di quel campionato. Nel 1943 il campionato si concluse regolarmente con la vittoria del Torino prima dello scoppio della guerra. Innanzitutto credo che allo stato attuale delle cose sia importante scrivere delle regole. Sarebbe davvero importante scriverle adesso, ovvero prima di sapere se si potrà o no chiudere il campionato. Mi auguro come tutti che si possano giocare le ultime 12 giornate, perché naturalmente significherebbe che siamo usciti da questa grande emergenza che ci circonda tutti, ma se ciò non fosse possibile a causa di quest’emergenza sanitaria, sarebbe importante che nel momento in cui ci fosse questa certezza ci siano già delle regole scritte per evitare polemiche, dietrologie e sospetti; vorrei davvero che ciò non avvenisse“.
*Si ringrazia Riccardo Cucchi per la grande disponibilità e gentilezza.