É un pomeriggio di Febbraio, anno 2068. Alberto Brignoli ha 77 anni, cammina ciondolando per le vie di Trescore Balneario, entra in un bar di via Locatelli.

“Buonasera”
“‘Sera”
“Il solito”
“Arriva”
Si accomoda ad un tavolino vuoto, uno da cui si vede la strada, oltre la vetrina. Il barista lo serve, inizia a sorseggiare lo spritz con la calma di chi è in pensione, senza troppa convinzione inizia a sfogliare i tablet sportivi che ha preso dal bancone.
“Hai visto? Daniel Maldini ritorna ad allenare il Milan”.
Il barista risponde svogliato, sa già dove vuole andare a parare.
“Si, ho letto stamattina presto, secondo me può rimettere le cose a posto”.
“Ti ho raccontato di quando gli ho segnato all’ultimo minuto, di testa?”
“Si Alberto, me l’hai raccontato”.
Bringnoli riabbassa la testa sulla gazzetta online, un po’ offeso, un po’ malinconico.
Da un altro tavolino però, un ragazzo giovane, troppo giovane, sta mangiando una pizzetta unta ed ad aggrottato le sopracciglia. Con la bocca piena chiede:
“Ma tu non giocavi in porta?”
Brignoli s’illumina, il sorriso gli esplode in faccia. Il barista sbuffa, si sistema lo strofinaccio sulla spalla, appoggia le mani sul bancone. Ha capito che la sentirà raccontare, ancora una volta.
Brignoli allontana la sedia, che fa rumore sul pavimento, si alza, guarda il ragazzo, inspira e inizia a raccontare:
“Giocavamo al Vigorito, in casa, il Benevento era per la prima volta in serie A, non aveva ancora fatto un punto in classifica. Cominciavano a prenderci in giro, in spogliatoio eravamo preoccupati. Ci dicevamo di giocare tranquilli che era questione di tempo, che i punti sarebbero arrivati. Però non arrivavano, eravamo ultimi, a zero, la classifica metteva paura.
Non era neanche tanto la retrocessione il problema, era l’idea di essere inadeguati. Di essere presi in giro per sempre, come squadra e come città. Il Milan aveva appena cambiato allenatore, era arrivato Gennaro Gattuso, non so se te lo ricordi, era un centrocampista molto forte. Ha vinto Champions League e mondiale.
Comunque era alla sua prima esperienza su una panchina di serie A, il capitano del Milan si chiamava Leonardo Bonucci, ma di lui, probabilmente, non ti puoi ricordare.
Io si, giocavo in porta, non ero un fenomeno però me la giocavo. Poi, che ci vuoi fare, la difesa del Benevento era quella che era. Al trentottesimo prendo gol: difendiamo male su una rimessa laterale, Franck Kessiè riesce a crossare e un certo Bonaventura mi segna di testa dopo una respinta sbagliata.
Tra l’altro poi Frank Kessiè è stato presidente della Costa d’Avorio, ma è un’altra storia. Quindi, ho appena preso gol, perdiamo uno a zero. Poi noi del Benevento, all’inizio del secondo tempo pareggiamo con Puscas, che, anche se il nome ti suona familiare, non è quello di cui hai sentito parlare.
Sempre nel secondo tempo prendo un altro gol di testa, mi segna Kalinic. La partita sembra messa male ma L’arbitro espelle un loro difensore centrale, che si chiamava Romagnoli, anche se, onestamente, il fallo non c’era. Anzi, proprio non l’aveva toccato.
Quindi ad un quarto d’ora dalla fine stiamo perdendo ma siamo con un uomo in più.
Arriva il novantacinquesimo, la partita è quasi finita, noi conquistiamo un calcio di punizione dalla tre quarti, i miei compagni sono tutti in area, anche i giocatori del Milan sono tutti in area.
Guardo la panchina, il mister mi fa col pollice in su, corro per tutto il campo ed arrivo in area pure io. Ventuno giocatori tutti ammucchiati, l’unico fuori è il mio compagno che deve battere. Lo guardiamo tutti.
Tutto lo stadio, invece, guarda me, con la divisa verde e i guanti blu, fuori posto come solo un portiere nell’area sbagliata riesce ad essere.
La palla arriva tesa, io salto in avanti, un po’ curvo, con gli occhi chiusi. Sento il colpo della palla in testa, mi sto avvitando in aria, ricado sulle chiappe. Da seduto guardo la palla rimbalzare ed entrare in porta. Il portiere del Milan, che era fortissimo, non ha neanche il tempo di buttarsi.
Lo stadio esplode. Io impazzisco di gioia. Mi abbracciano tutti.
Primo punto della storia del Benevento in serie A, con un mio gol, che giocavo in porta, all’ultimo minuto.
L’allenatore del Milan nelle interviste disse che era stata come una coltellata, capì cosa intendesse, ma di quei giorni mi ricordo solo la sensazione di essere in un sogno.”
Il barista, trascinando in piedi, poggia sul tavolino di Brignoli una ciotola con delle olive verdi, il ragazzo ha finito la pizzetta mentre ascoltava la storia, dice “Caspita! Che roba”, si alza e si avvicina alla cassa.
Dopo un paio di secondi il ragazzo sta uscendo dal bar, il barista dice ad alta voce:
“Brigno, lo spritz è pagato”.
Stefano Attardi
photocredits beneventocalcio.club