Pioli DAZN
Mister Stefano Pioli ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di DAZN condotta da Federico Balzaretti. Tanti i temi trattati. Qui di seguito il testo integrale.
IL PIOLI ALLENATORE
Che obiettivi ti eri posto quando hai iniziato ad allenare?
Era quello che sentivo. Inizialmente mi era stato offerto un contratto da Team Manager all’interno di una squadra, ma non era quello che volevo. Volevo stare nell’ambiente ma stare sul campo. Le esperienze che ho fatto mi hanno aiutato tanto, sia positive che negative. Non mi sono mai posto un obiettivo del tipo “voglio arrivare lì”. Ho uno staff che mi aiuta tanto nel quotidiano. Mi tolgono la preparazione del singolo allenamento e io mi concentro sulla partita, è una delle cose che mi piace di più. La strategia e curare il rapporto con i giocatori.
Sulla gestione del gruppo quanto sei migliorato a livello umano?
Ci sono state esperienze che mi hanno insegnato. Il primo anno a Salerno c’era un giocatore sempre titolare e l’ho tenuto fuori contro il Napoli. Ho provato a spiegargli perché e a coccolarlo e lui mi ha detto “sei l’allenatore e fai le tue scelte ma non venire a spiegarmi niente”. Da lì non dico più nulla. Schiero la formazione che ritengo migliore.
Quando sei sotto pressione c’è un modo con cui la sfoghi?
Vado a passeggio col cane o faccio un giro in bici. A volte lo faccio da solo perché così mi do sempre ragione.
Perché solo adesso Pioli è nell’immaginario uno degli allenatori più forti in Italia?
Credo soprattutto perché alleno il Milan. Il Milan è uno dei Club più prestigiosi al mondo. Chiaro che poi nella mia carriera ho continuato a crescere e migliorare. Ho investito tanto su di me e ho avuto persone che mi hanno accompagnato. Ammiro tantissimo i miei colleghi molto giovani che sono già pieni di tutto. Io ho avuto bisogno delle mie tappe.
Qual è il giorno più bello da allenatore che hai vissuto in questi anni?
Difficile dirlo su due piedi. Ho avuto tanti ricordi positivi. Credo che la salvezza con la Salernitana, la prima esperienza sia stata indimenticabile. Anche se devo andare ancor prima alla vittoria del campionato con gli Allievi nazionali a Bologna in finale con la Roma, con dei ragazzi con cui ho fatto un percorso di due anni fantastico.
Che consiglio daresti allo Stefano Pioli del 2003 che inizia?
Di affrontare la professione con tanto entusiasmo e passione, con l’equilibrio necessario che ti permette di vivere. Nel nostro mestiere non c’è una via di mezzo, o sei un fenomeno o sei un bidone.
IL MILAN, IL GRUPPO E IL SUO PERCORSO
Vincere è una pressione che sentite?
Si, ma settimanalmente. Non siamo partiti dicendo “quest’anno dobbiamo vincere lo scudetto”.
Nel mezzo c’è stato il Lockdown. Come è stato allenare a distanza?
Mi ricordo benissimo il giorno che la società ci ha comunicato che doveva chiudere e ognuno è tornato nella loro abitazione. Abbiamo deciso per un paio di settimane di far staccare completamente i giocatori. Non ci siamo sentiti se non con qualche messaggio con qualche giocatore. Avevamo bisogno del suo spazio e del suo tempo per capire come vivere la quotidianità. Poi abbiamo capito che era il momento giusto per ripartire. Abbiamo usato tutte le tecnologie possibili per allenarli a gruppi. Facevamo 4 gruppi tutto il giorno, con i preparatori dentro con io che entravo e uscivo per salutarli. I gruppi ruotavano in modo che si vedessero tutti e si lavorava un’ora. Poi c’era comunicazione e si parlava di quello che si stava facendo.
Per il gruppo è stato importante?
Lì credo che per assurdo ci siamo conosciuti meglio piuttosto che a Milanello. Quando siamo tornati ci sembrava di essere ancora più compatti. Ho avuto una persona che mi ha aiutato per alcuni anni. Io sono molto curioso su tutto. Qualsiasi articolo o citazione soprattutto di allenatori di altri sport mi aiutano a trovare la comunicazione finale. Tu devi essere bravo a buttare dei “sassolini” nel corso della settimana e poi richiamare il tutto. Ho fatto un discorso anche prima di Bergamo dove si chiudeva un ciclo. Per ogni giocatore dicevo qualcosa: per Kessié erano i km percorsi, di Tomori era il salto nel gol con la Juve. Per ognuno una cosa particolare. Onestamente mentre lo fai ti rendi conto che hai centrato il punto, e lo vedi dall’altra parte. L’ho fatto appena prima di partire dall’albergo.
Cosa dire alla squadra pre partita e post partita credo sia una delle cose più importanti. Post partita ho capito di non parlare mai. Da quando è arrivato Zlatan entro anche meno nello spogliatoio. Mi rendo conto che non siamo lucidi, né io e nemmeno i giocatori. A meno che succedano cose particolari non parlo mai, lo faccio la mattina dopo quando ho rivisto la partita e sono più lucido.
Ci sono mai stati giocatori a chiederti di parlare prima di una partita? Zlatan o Simon magari?
Ho più giocatori che parlano prima delle partite. Io sono molto attento a quello che dicono. Ricordo con grande piacere le discussioni di Trapattoni con la squadra, soprattutto con Platini. Erano discussioni accese ma con un obiettivo bello chiaro. Il Trap lasciava spazio a tutti. Nelle discussioni gli attori principali sono i giocatori.
Zlatan?
Ha una mentalità e una forza interiore, malgrado tutto quello che ha già fatto, ha voglia ancora di dimostrare di essere un campione, un protagonista. Sta a Milanello tutto il giorno e ti dimostra quella motivazione. Il suo arrivo ha alzato il livello.
Qualcuno l’ha sofferto all’inizio?
Secondo me lui ha avuto intelligenza nell’entrare in questo gruppo che non era ancora formato. Dopo ha cominciato a modo suo. È un equilibrio che si sposa bene. Zlatan pretende tantissimo e alza il livello. Gli altri riconoscono che è un campione che può farli crescere.
Se devi togliere Ibra piuttosto che Giroud o Kjaer ci pensi anche inconsciamente per il peso che hanno?
Credo di no. Io quando alleno quotidianamente il mio obiettivo è la squadra. Quando credo che sia giusto scegliere i primi 11 o cambiare lo faccio. Non penso “Oddio se tolgo Olivier dopo il Milan parla con me”.
In questi anni sono anche capitate situazioni scomode: Donnarumma in scadenza. Calhanoglu, ora Kessié. La società ti aiuta nella gestione di queste situazioni?
Un Club che è sempre presente e ci sostiene sempre. È sempre vicino a noi ed è la forza della squadra. Maldini, Massara e Gazidis vivono quotidianamente la squadra e il nostro modo di lavorare. Sanno quando parlare individualmente e collettivamente. La differenza la fa lo spessore delle persone. Calhanoglu e Donnarumma sono stati due ragazzi fantastici fino all’ultimo secondo sul Pullman. Poi dopo la vita e il calcio ti propongono altre situazioni. Tutti gli altri quest’anno stanno facendo la stessa cosa.
LA TATTICA DI PIOLI
Con le squadre che fanno costruzione bassa fate pressing più intenso. Per fare questo hai bisogno di due difensori che accettano di giocarsi l’uno contro uno a centrocampo.
Abbiamo affrontato parecchie volte l’Atalanta. Le posizioni degli attaccanti semi aperti diventano difficili da prendere. Abbiamo scelto la posizione di Kessie per scivolare meno. Lavoriamo sempre meno di reparto e cerchiamo di portare parità numerica in zona palla. Ti puoi permettere dietro di accettarla. Servono giocatori predisposti anche ad accettarla dal punto di vista mentale. Gli avversari si muovono.
Fase offensiva: una costruzione particolare. Non esiste un ruolo ma una funzione giusto?
Credo che il concetto sia smarcarsi. Poi una volta che ti smarchi crei uno spazio occupato dal tuo compagno. Per noi non vale più che in un determinato posto ci debba essere un mediano piuttosto che un terzino. Vale identificare degli spazi e coprirli. Più li copri con giocatori diversi più diventi imprevedibile. Ci vuole una sola qualità fondamentale nel calcio moderno: intelligenza dei giocatori. Ci siamo arrivati con il lavoro continuo.
Adesso la tendenza è di invadere il campo avversario. Quando Ibra viene basso la lettura del giocatore è quella?
Noi prepariamo certe situazioni e stabiliamo quanti sono i giocatori di costruzione e quelli che vanno a conquistare spazio. Qualche rischio te lo prendi ma se non porti giocatori per mettere in difficoltà l’avversario diventi leggibile e sei solamente ancorato alle capacità individuali di 1 contro 1. L’importante è sempre avere equilibrio. Tempi giusti e posizioni ideali.
E la superiorità?
Noi cerchiamo sempre di avere in costruzione una superiorità posizionale. O ce l’abbiamo già in base alla posizione degli avversari o la creiamo con lo spostamento del mediano o del terzino.
Leao dove si riconosce in campo?
È un attaccante da centro-sinistra. Ora ha consapevolezza nei suoi mezzi tecnici-fisici superiori. Nell’uno contro uno in fascia diventa un giocatore difficilmente controllabile.
Theo lo alterni spesso con Leao dentro il campo
Una cosa molto positiva di Theo è che adesso ha imparato a smarcarsi tanto anche dentro il campo. Togliere punti di riferimento è importante. Il terzino avversario una volta può trovarsi ad affrontare Theo che è più abile nel “dai e vai” e una volta deve affrontare Leao che è più forte nell’uno contro uno.
Leggi QUI le parole di Sandro Nesta a Gazzetta
photocredits acmilan.com