In una lunga intervista realizzata insieme al giornalista Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, il campione di Tennis Novak Djokovic ha raccontato diversi momenti della sua grande carriera: dal primo ricordo all’enorme caos covid, passando per la fede milanista.

Novak Djokovic sul primo ricordo della sua vita
«La montagna. Kopaonik, nel Sud della Serbia. Mio padre mi portava con sé a sciare, avvolto in una sciarpa, quando avevo sette mesi: questo ovviamente me l’ha detto lui, non sarebbe un ricordo ma un trauma… Un giorno ero solo nella foresta, avrò avuto dieci anni, e ho incontrato un lupo. Provai una paura profonda. Mi avevano detto che in questi casi bisogna indietreggiare lentamente, senza perderlo di vista. Ci siamo guardati per dieci secondi, i più lunghi della mia vita; poi lui ha piegato a sinistra e se n’è andato. Provai una sensazione fortissima che non mi ha mai abbandonato: una connessione d’anima, di spirito. Non ho mai creduto alle coincidenze, e pure quel lupo non lo era. Era previsto. È stato un incontro breve, ma molto importante perché il lupo simboleggia il mio carattere. Sono molto legato alla mia famiglia, e cerco di essere disponibile con tutti; ma a volte devo stare da solo. Spesso nella vita mi sono ritrovato solo. Solo con la mia missione, con i miei obiettivi da raggiungere. Sono rimasto connesso con quel lupo. Anche perché il lupo per noi serbi è sacro. È il nostro animale totemico. È il simbolo di una tradizione nazionale, di una fede ancestrale che precede il cristianesimo. Una religione prima della religione».
Novak Djokovic sul caos covid: da “Novax Djocovid” al problema in Australia
«Io non sono no vax e non ho mai detto in vita mia di esserlo. Non sono neppure pro vax. Sono pro choice: difendo la libertà di scelta. È un diritto fondamentale dell’uomo la libertà di decidere che cose inoculare nel proprio corpo e cosa no. L’ho spiegato una volta alla BBC, al ritorno dall’Australia, ma hanno eliminato molte frasi, quelle che non facevano comodo. Così non ho mai più parlato di questa storia. Il posto in cui mi hanno trattenuto in Australia? Un carcere. Non potevo aprire la finestra. Io sono rimasto meno di una settimana, ma ho trovato ragazzi, profughi di guerra, che erano lì da moltissimo tempo. Il mio caso è servito a gettare luce su di loro, quasi tutti sono stati liberati, e questo mi consola. Un giovane siriano era lì da nove anni. Ora è in America, quando tornerò quest’estate lo voglio ritrovare e invitare a vedermi agli Us Open; anche con lui mi sento connesso. Il giudice australiano ha accolto il mio ricorso; ma il ministro dell’Immigrazione, che ha il potere di deportare chi vuole senza ragioni, mi ha espulso. Io però non ho violato le regole. Sono entrato in Australia con i documenti necessari e corretti, come ha riconosciuto il magistrato del primo processo. Non ero vaccinato, avevo avuto il Covid ed ero guarito. Ho rispettato tutte le norme e non ho messo in pericolo nessuno. Eppure una volta là sono diventato un caso politico, uno che metteva in pericolo il mondo. Il sistema, di cui i media sono parte, esigeva un bersaglio, che fosse opposto al mainstream; e lo sono diventato. Mi hanno messo l’etichetta di no vax, una cosa del tutto falsa, che ancora adesso mi fa venire il mal di stomaco. Poi si è scoperto che la situazione della pandemia era molto diversa da come veniva presentata. Ora l’Organizzazione mondiale della sanità ha scritto che il virus non è più così grave, che fa parte di tutti i virus che abbiamo…».
Sui colleghi e gli addetti ai lavori nel mondo del tennis che gli hanno voltato le spalle
«Però si è divisa la società. E io sono stato messo in mezzo, additato come persona non grata. Mi sono ritrovato solo; ma quella volta mi sono sentito la pecora, circondata da venti lupi. E un uomo solo contro i grandi media non ha chance. Io dimentico in fretta, sono concentrato sulle cose positive. Ho avuto il Covid una seconda volta. Ho sempre accettato le regole, non potevo andare in America e non sono andato, ho rinunciato a due Us Open per restare coerente con me stesso. Non ho parlato, perché ho visto che quel che dicevo veniva distorto. Sono tornato in Australia e ho vinto. Però sono rimasto deluso. Dai media e da molti colleghi. Nomi non ne faccio. Ma quando mezza società è contro di te, allora vedi la vera faccia delle persone. E molte persone hanno girato la testa dall’altra parte. Molti giocatori e qualche organizzatore».
Novak Djokovic sull’amico Fiorello
«Troppo simpatico. Un fenomeno. Altri comici fuori dalla scena sono tristi; lui anche in privato non smette mai di scherzare, di fare show. Quando è caduto dalla moto l’ho cercato, per stargli vicino. Mi piace tutto quello che fa, in radio, in tv, l’edicola Fiore è un’invenzione geniale. Quando il tennis finirà, mi piacerebbe fare anch’io l’attore. A teatro però».
Sulla fede rossonera: perché Novak Djokovic tifa Milan?
«Per mio padre. E per Dejan Savicevic, il Genio».
(In foto, un giovane Novak Djokovic sugli spalti di San Siro per Milan-Barcellona 2-0, febbraio 2013)
Segui la nostra pagina Facebook per non perderti nulla di quello che succede nel mondo Milan!
Scarica QUI la nostra app per dispositivi Android. Rimani sempre aggiornato sulla tua squadra del cuore!
Scarica QUI la nostra app per dispositivi IOS. Rimani sempre aggiornato sulla tua squadra del cuore!