Shevchenko: “Pioli ha tante pressioni, bisogna fidarsi di lui! Lo rispetto perché…”

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Dopo averlo ascoltato ieri sera a Biella per “Campioni sotto le Stelle”, abbiamo seguito Andriy Shevchenko anche oggi alla Milano Football Week, evento organizzato dalla Gazzetta dello Sport all’Anteo Palazzo del Cinema. Incalzato dalle domande dei giornalisti Alessandra Bocci e Alessandro Alciato, il Pallone d’Oro rossonero ha parlato della sua vita a Milano e… del derby di ritorno contro l’Inter di martedì.

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Andriy Shevchenko sull’arrivo in rossonero

“La mia carriera al Milan è stata fantastica. Quando sono arrivato la prima volta conoscevo i grandi campioni la grandezza del club… ma ero un ragazzo giovane. Al Milan ho fatto uno step molto grande. Quello che mi ha impressionato più di tutto è che la famiglia che c’è dietro al Milan: la grandezza di Maldini, di Costacurta, di Demetrio Albertini. Tutti mi hanno accolto con un grande abbraccio, mi hanno aperto il cuore aiutandomi ad inserirmi bene in Italia. Mi sono sentito a mio agio e sono riuscito ad esprimere tutte le qualità al meglio. Emozionarmi fa parte del mio carattere da sempre volevo venire a Milano anche per diventare un giocatore forte per il mio Paese”.

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L’emozione di ricevere la telefonata per il Pallone d’Oro

“Non ci credevo… È sempre stato un mio sogno, da bambino guardavo chi aveva vinto il pallone d’oro tra i giocatori ucraini. Nel Milan guardavo Van Basten, era un attaccante incredibile. Quando l’ho saputo sono stato contento e devo dire grazie ai miei compagni: senza i miei compagni del Milan e dell’Ucraina non ce l’avrei fatta. Quando Braida venne a comprarmi in Ucraina mi portò una maglia del Milan e mi disse che con questa maglia avrei vinto il pallone d’oro”.

Sul rigore di Manchester contro la Juventus, il momento più iconico della carriera di Shevchenko in rossonero

“Ogni volta che ci penso mi emoziono, è il momento più bello della mia storia: scrivere il mio nome dentro la storia del Milan è pazzesco. Non fu un anno facile per me. La stagione è cominciata molto male, con un infortunio di 3 mesi. Il rientro era stato molto difficile, Ancelotti cambiò formazione passando all’albero di Natale… Non mi piaceva tanto, ma funzionava. La squadra giocava bene. Io ero in panchina e soffrivo tanto, ma capivo anche il momento. Aspettavo il mio momento. E quel momento è arrivato contro il Real Madrid. Mi chiamò Ancelotti e mi disse che mi dava l’occasione di giocare. Ancelotti è un grande allenatore, lui crea sempre un feeling incredibile con i giocatori. Riuscì a motivarmi e io ero già molto motivato. Vincemmo 1-0 col Real con un mio bellissimo gol e li ripartì la mia stagione. Poi essere protagonista nelle semifinali contro l’Inter, partite difficilissime e molto sofferte, e in finale con la Juve è stata una emozione forte”.

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“Nel 2003 c’era tensione, qualcuno non riusciva a dormire, c’era tanta pressione… Nessuno voleva perdere quella partita. Quando giochi davanti non hai molto spazio e tempo, Cordoba era forte e mi marcava, io chiesi a Seedorf di passarmi la palla nel momento giusto. Lui mi capì e il mio gol arriva su un suo assist al momento giusto. Lo segnai con istinto, già sapevo come posizionarmi. Comunque in quei giorni eravamo tutti nervosi. Gattuso ci faceva pensare ad essere gruppo, vedendolo. Io cercavo di guardare Maldini: la sua, la sua esperienza, la sua grandezza, la sua tranquillità mi hanno aiutato. Anche Costacurta ci guidava. Ma a me questa pressione mi piaceva tanto, mi eccitava, mi dava forza, mi incuriosiva il momento di grande tensione. Mi preparavo bene psicologicamente. Io non penso che campioni si nasce, ma si diventa. Si nasce col talento, ma per diventare campione servono sacrificio, lavoro, intelligenza, voglia di migliorare. Trovare nuovi obiettivi un volta raggiunto uno. Bisogna saper gestire i momenti difficili. Ho visto grandi giocatori non saper gestire momenti di grandi pressioni, e quelli con meno talento che si trasformavano nei momenti di pressione, dando messaggio alla squadra di compattezza e di voglia di lavorare per la squadra”.

“Io sono positivo. Bisogna dimenticare il primo tempo. Nel secondo tempo c’è stata una giusta reazione, con spirito e atteggiamento giusto, con un piano di gara. Bisogna che il ritorno sia come il secondo tempo: si possono giocare così le proprie chances di rimonta… L’allenatore ha tante pressioni. Ho tanto rispetto per Pioli: il lavoro che ha fatto nel Milan, con scudetto e semifinale, è positivo. Lui conosce bene la squadra, bisogna fidarsi di lui. Nel ritorno, con lo spirito nel secondo tempo, può succedere di tutto”.

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Shevchenko trova una similitudine tra il suo Milan e quello di oggi

“La forza del Milan è il gruppo, la voglia di stare insieme, che si divertono insieme, che hanno obiettivi simili, che guardando la vita nella direzione simile si crea un gruppo vincente. Questa era la forza del Milan del nostro gruppo. Ora è ancora così? Io lo vedo. Le squadre che vincono creano gruppo. Tu puoi avere 10 campioni, ma se non si trovano bene sarà difficili vincere qualcosa. Serve lavoro della società, dell’allenatore, ma la maggior parte deve arrivare dai giocatori. Se tu giochi per una grande squadra capisci gli obiettivi di una grande squadra, tu ti rendi conto che da solo non puoi vincere niente. Il gruppo è la cosa più importante”

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