In un editoriale sulle colonne della Gazzetta dello Sport, Alberto Cerruti analizza la prestazione mentale messa in campo dal Milan nel pareggio per 1-1 a Bergamo contro l’Atalanta.

“Prima o poi doveva capitare, perché è impossibile vincere sempre. E quindi il primo pareggio, dopo sette vittorie consecutive tra lo sprint finale nella stagione scorsa e la ripartenza con lo scudetto sulle maglie, non deve scandalizzare a prescindere dal fatto che sia stato ottenuto sul campo dell’Atalanta. Semmai, dopo le prime tre ore di campionato, si può sottolineare un’altra novità ancora più importante, perché il Milan ha abbandonato la testa della classifica dove era rimasto dal 13 febbraio scorso, quando superò 1-0 la Sampdoria con un gol di Leao, staccando l’Inter bloccata sull’1-1 a Napoli. Nulla di grave, d’accordo, soprattutto pensando al diverso valore degli avversari affrontati nel fine settimana, perché non si può paragonare lo Spezia travolto dai nerazzurri con l’Atalanta che ha costretto i rossoneri ad accontentarsi di un punto. Eppure, al di là dei numeri del passato e del presente, le prime due giornate hanno confermato quanto sia difficile ripetersi per chi ha vinto e quindi, nel caso specifico, per il Milan campione d’Italia. Il discorso vale per la squadra in generale e per i singoli in particolare, perché il meritato scudetto è il frutto dell’equilibrio ottenuto da Stefano Pioli. E allora, occhio a tanti segnali da non sottovalutare in prospettiva, a cominciare dal fatto che sia contro l’Udinese, sia contro l’Atalanta, i rossoneri sono andati in svantaggio quasi subito, all’inizio o a metà del primo tempo. È vero che poi Calabria e compagni sono riusciti a vincere, o almeno a non perdere, ma fa riflettere il precedente dello scorso campionato perché il Milan, che aveva subito meno gol di tutti (31 come il Napoli), stavolta non ha mostrato in partenza la giusta concentrazione, soprattutto in difesa. E più in generale, ricordando che un anno fa i rossoneri avevano stravinto 3-2 a Bergamo, dopo essersi addirittura portati sul 3-0, fa riflettere il passo indietro della squadra sul piano del gioco, visto che Pioli aveva schierato gli stessi uomini dello scudetto, in attesa di lanciare a tempo pieno i nuovi acquisti.”
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“In casi del genere è facile parlare di appagamento, più o meno inconscio, anche se nessuno lo ammette mai. Ma anche se così non fosse, rimane la certezza che rivincere è sempre più difficile che vincere e confermarsi è sempre più difficile che affermarsi, specialmente dopo aver sfruttato il fattore “sorpresa”. E qui il discorso tocca l’asse vincente della squadra: la coppia difensiva Tomori-Kalulu, il centrocampista Tonali e l’attaccante Leao, ultimo capocannoniere rossonero con 11 gol. Proprio quest’ultimo, in assoluto il più atteso di tutti essendo stato l’uomo simbolo della volata scudetto, non ha ancora fatto la differenza, né con i gol, né con le sue accelerazioni, e guarda caso è già stato sostituito due volte da Pioli, il primo a pretendere maggiore continuità, perché non basta essere un grande talento per pensare di vincere il Pallone d’oro. Come non basta avere lo scudetto sulle maglie per rivincerlo l’anno dopo. Vale per tutti e per il Milan ancora di più, visto che nella sua storia soltanto il grande Fabio Capello è riuscito a fare il bis nel 1993 e poi addirittura il tris nel 1994, con l’accoppiata scudetto-Champions. Ma guai a fare paragoni, perché quello era un altro calcio. Anzi un altro secolo.”
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photocredits: acmilan.com