La sfida tra il Diavolo e il Grifone è una grande classica del calcio italiano, in particolare del suo periodo pionieristico; si potrebbe quasi sostenere, senza timore di essere smentiti, che il Milan nacque come reazione al dominio genoano. Rimangono nella storia, infatti, le famose parole che Herbert Kilpin pronunciò al banchetto organizzato dopo la vittoria del Genoa contro la sua Internazionale Torino nella finale del campionato 1899: “Questa è l’ultima volta che vincete! Fonderò una squadra a Milano che vi batterà!”.

Una promessa proferita guardando dritto negli occhi Edoardo Pasteur, figura leggendaria del football genoano. Possiamo immaginare lo stupore dei presenti e il silenzio che ne seguì, un momento di imbarazzo rotto dalla signorilità di Pasteur, che alzò il calice e brindò insieme ai suoi compagni alla nascita di questo nuovo club. In realtà il primo tentativo del padre del Milan andò a vuoto e i rossoneri dovettero arrendersi in semifinale contro la Torinese di Edoardo Bosio, altro grande protagonista di quel periodo. Ma nel 1901 il Diavolo detronizzò il Grifone e la profezia di Kilpin si avverò.
Kilpin e Pasteur, Milan e Genoa, eco di un calcio lontano nel tempo, giocato da gentiluomini di fronte a un pubblico che cresceva e si interessava sempre più alle sorti di questi primi club. Proprio quei tifosi che, in pochi anni, sarebbero diventati anch’essi protagonisti del meraviglioso giuoco, cornice insostituibile di ogni partita, perché senza la loro passione a fare da sfondo alle imprese dei calciatori, queste sarebbero senz’altro meno epiche e romantiche. Quei tifosi che, in un periodo la cui drammaticità va ben oltre uno stadio vuoto, mancano da San Siro dall’8 marzo 2020, giorno del recupero della ventiseiesima giornata del campionato 2019/20 (in programma la domenica precedente): Milan-Genoa, porte chiuse.
Una partita alla quale il Milan arriva in una situazione particolare: i risultati non sono entusiasmanti e il pareggio subito a pochi minuti dalla fine a Firenze (grazie a un calcio di rigore perlomeno discutibile) non aiuta. La situazione societaria, inoltre, appare piuttosto burrascosa: Boban, grande ex e in quel momento Chief Football Officer, in un’intervista pubblicata il 29 febbraio sulla Gazzetta dello Sport, ha criticato apertamente l’AD Ivan Gazidis, che si è mosso autonomamente per portare, a partire dalla stagione successiva, sulla panchina del Milan (con ampi poteri anche a livello dirigenziale) il tedesco Ralf Rangnick.
Uno scontro interno che si concluderà con il licenziamento del croato e uno spiacevole epilogo in tribunale. Ma il momento è reso ancora più surreale dalla rapida diffusione di un nuovo virus, ormai tristemente conosciuto, che poche settimane prima pareva solamente l’invisibile nemico di un brutto film di fantascienza, ambientato in una lontana città cinese. La settimana successiva tutta l’Italia si sarebbe avviata verso la chiusura pressoché totale e con essa il calcio, ma in quella domenica di incertezza si gioca ugualmente, senza pubblico. Guardando la partita a casa, di fronte allo schermo della TV o di un qualsiasi dispositivo mobile, sembra di assistere a un’amichevole, ma soprattutto alla fine della stagione sportiva, infinitamente meno importante rispetto a tutto quello che sta succedendo.
La partita, dunque, si gioca e il Milan, come nella gara di andata, è costretto a rinunciare a Donnarumma, sostituito da Begović (alla sua seconda e ultima presenza in rossonero) e Kjaer. Ai lati della coppia difensiva formata, dunque, da Gabbia e Romagnoli agiscono Conti e Hernandez, mentre in mezzo al campo Kessié e Bennacer sono due punti fermi della formazione di Pioli. A sostegno di Ibra, in attacco, ci sono, invece, Castillejo, Çalhanoğlu e Rebić.
L’atmosfera è naturalmente molto particolare: da una parte un Milan poco motivato sente il peso delle assenze e degli scossoni societari, dall’altra il Genoa intuisce che questa potrebbe essere l’ultima partita dell’anno, con conseguente cristallizzazione della classifica; una vittoria, quindi, sarebbe molto importante in chiave salvezza (anche se, in realtà, la situazione è molto confusa).
I rossoneri partono abbastanza bene e, dopo pochi minuti, hanno una buona occasione di passare in vantaggio, ma Theo non riesce a concretizzarla. Sul ribaltamento di fronte, però, è proprio l’esterno francese a perdere malamente un pallone a favore di Sanabria, che è bravo a trovare in mezzo all’area Pandev per lo 0-1 del Grifone. Sia l’occasione a favore, che il goal subito evidenziano perfettamente il pessimo approccio degli uomini di Pioli e la poca determinazione con cui sono scesi in campo. Emblematico, poco dopo, l’episodio che vede Ibra e Bennacer ostacolarsi su una buona palla al limite dell’area. Il Milan ha due grandi opportunità per pareggiare, con lo svedese e Çalhanoğlu, ma, in entrambi i casi, Perin è bravo a opporsi, mentre i rossoneri, come scritto sopra, appaiono poco cattivi. Il Genoa di Nicola, invece, è molto concreto e quando al 41esimo minuto Biraschi sfonda nuovamente sulla fascia destra e crossa in mezzo, la sonnolenta difesa del Milan perde l’inserimento di Cassata, che raddoppia.
Nella ripresa il Diavolo cerca di reagire, ma, preso dalla frenesia di voler riaprire la partita, continua a essere poco preciso, mentre il Genoa riesce a gestire la partita con ordine e senza subire eccessivamente gli attacchi di Ibra e compagni. Proprio lo svedese, quando manca meno di un quarto d’ora alla fine, riesce finalmente ad accorciare le distanze, ma non è sufficiente. Il Milan perde meritatamente e, insieme a tutto il paese, si chiude in casa a rimuginare su un futuro incerto. Ma poi si torna a Milanello, si torna a lavorare per portare a termine uno dei campionati più strani e tristi della storia e il Milan di Pioli, di Ibrahimovic e dei giovani, di Maldini (e Boban), dei tifosi che anche da casa non fanno mai mancare il loro sostegno, il nostro Milan rinasce e, anche se quell’incubo in cui siamo piombati in quella strana domenica di marzo pare non finire mai, ricomincia a combattere.
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