Tutti stanno ripetendo da mesi, anzi da tutto il campionato, che il Milan non è una squadra forte, che ha la rosa da quarto o quinto posto, che è un miracolo paragonabile a quello del Leicester vederlo là davanti. Con tutto il rispetto per il Leicester City e per la favolosa impresa di qualche anno fa trovo che paragonare uno dei club più vincenti al mondo con una squadra autrice di un miracolo “isolato” sia parecchio ingeneroso. Sul fatto che altri abbiano una rosa più forte dei rossoneri non posso dire nulla, la superiorità dei nomi di Juventus e Inter è innegabile. C’è però un aspetto fondamentale da tenere a mente: nel calcio, anzi in tutto il mondo dello sport, non si vince collezionando figurine. Quanti esempi di questo abbiamo visto anche solo in questa stagione… Dalla ormai abituali disfatte europee di PSG e Manchester City al fallimento di super team come i Los Angeles Lakers o i Brooklyn Nets, per chi mastica un po’ di NBA. Lo sport è sempre il giudice finale, retto e giusto.

Non bisogna dimenticarsi infatti che il Milan ha avuto una fase della sua storia molto recente in cui ha speso cifre importanti: la famosa epoca delle “cose formali” di Fassone e Mirabelli, che sappiamo tutti dove ha portato… I rossoneri però sono riusciti a crescere e, soprattutto, a fare una cosa che ormai non va più molto di moda ma che è fondamentale in un percorso di maturazione: imparare dai propri errori. La matematica non è un’opinione, come si usa dire; se i soldi investiti nel mercato sono diminuiti ma i risultati sul campo sono sensibilmente migliorati vuol dire che ci deve essere un altro fattore che giustifichi ciò che il Milan ci sta facendo vedere in campo.
Sicuramente una parte del merito è degli acquisti. Personalmente però non li reputo più “forti” rispetto agli ingaggi della precedente direzione, solamente più funzionali. Quello che però è cambiato davvero è la mentalità! Sono due le figure che vedo come principali artefici di questo miglioramento: Zlatan Ibrahimovic e Stefano Pioli. L’arrivo del nuovo allenatore e il ritorno del vecchio attaccante sono stati di importanza capitale per il Milan, ma penso che l’uno senza l’altro non avrebbe avuto un effetto così dirompente in tempi così brevi. La simbiosi tra i due ha permesso a tutti i giovani membri della rosa di imparare cosa vuol dire sacrificarsi, mettersi a disposizione, cadere insieme e rialzarsi insieme.
Il salto mentale del Diavolo è stato evidente per tutta la stagione, anzi forse fin dal tramonto della scorsa annata. Ci vuole una gran bella forza psicologica per andare a conquistarsi la Champions vincendo a Bergamo sette giorni dopo aver buttato via la chance di una qualificazione più agevole contro il Cagliari. La scia di quella ritrovata solidità mentale si è prolungata nel corso di tutta l’annata. Per prima cosa si è vista in Champions League, quando il Milan, ormai quasi spacciato, è andato ad imporsi al Wanda Metropolitano contro l’Atletico Madrid. La tendenza poi si è ripetuta anche in Serie A. Due delle vittorie più importanti della stagione, infatti, sono arrivate dopo un momento di appannamento.
In primis il derby di ritorno, vinto in rimonta dopo la purtroppo celeberrima sconfitta con lo Spezia e il deludente pareggio con la Juventus. In secondo luogo, la vittoria di Napoli, che ha rilanciato alla grande il Milan dopo i due punti conquistati contro Salernitana e Udinese. Credo che sia uno il dato centrale per inquadrare la crescita dei rossoneri: in questo campionato nessuno ha fatto tanti punti da situazione di svantaggio come i ragazzi di Pioli, finiti sotto nel punteggio in 12 occasioni ma capaci di tirare fuori addirittura 16 punti, frutto di quattro vittorie, quattro pareggi e altrettante sconfitte. Questa è l’ennesima prova che il calcio si gioca tanto con i piedi quanto con la testa.
Photocredit: acmilan.com
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