Il portiere Campione d’Italia Mike Maignan ha parlato alla Gazzetta dello Sport in edicola questa mattina.

Non era facile arrivare dopo Donnarumma, ma lei ormai è un idolo dei tifosi milanisti.
«Non ho mai sentito alcun tipo di stress al riguardo, perché non è mai stato un mio obiettivo prendere il posto di Gigio, oppure di farlo dimenticare. Sono venuto al Milan per scelta professionale, per lavorare e giocare il mio calcio. Poi, quando lavori bene, raccogli i frutti. Certo, sapevo che magari non mi avrebbero fischiato, ma al Milan mi sono subito sentito a casa, e l’affetto dei tifosi è straordinario».
L’infortunio a inizio stagione l’ha destabilizzata?
«Ero soprattutto frustrato. È stato difficile da accettare. Ho giocato sette partite con la mano infortunata e non volevo fermarmi, né mollare i miei compagni. Preferivo iniezioni e creme, e mi allenavo solo alla vigilia dei match. Poi quando in nazionale mi sono fermato quattro giorni e il dolore non passava, ho capito che dovevo curarmi. Lo specialista che mi ha seguito al Milan mi ha spiegato che avrei rischiato uno stop di un anno. Così mi sono fatto operare, ma ho fatto di tutto per tornare il prima possibile. Stare a casa senza far niente non fa per me, avevo troppi obiettivi. Così sono rientrato dopo sei settimane invece di dieci».
Tra le sue tante parate decisive, quale preferisce?
«Direi quella su Luperto, contro l’Empoli a San Siro. Da settimane con Dida discutevamo di quel tipo di parate, e non la pensavamo allo stesso modo. Poi però ho applicato esattamente quello che mi chiedeva e sono riuscito a deviarla in corner. È una sorta di sintesi del nostro lavoro».
Lei non ha incassato gol in 17 gare, 38 in due stagioni. Numeri da premio Yashin, il Pallone d’oro dei portieri di France Football: si ritiene già tra i top 5?
«Lavoro solo per essere il migliore, ma non sta a me dire se sono tra i top 5. Al premio Yashin non ci penso. È qualcosa di relativo. Però se lo vincessi, farebbe comunque piacere».
Idoli d’infanzia?
«Non ne ho mai avuti. I grandi portieri però li studio tutti bene. Apprezzo Neuer, ma in cameretta da bambino avevo i poster di Zidane, Ronaldinho, Gerrard, Eto’o e pure di Ibrahimovic».
Come l’ha accolta Ibra, che conosceva già dai tempi del Psg?
«Mi ha fatto i complimenti per il titolo con il Lilla, ma mi ha spiegato che in Italia era tutta un’altra cosa e che al Milan c’era più pressione. Ibrahimovic è un esempio per tutti. Anche lui, come me, ha stretto i denti per centrare l’obiettivo come si era ripromesso. Spero torni presto con noi».
Con Giroud, Hernandez e Kalulu in spogliatoio, non si è sentito spaesato.
«Kalulu si è rivelato davvero forte, anche mentalmente, ha saputo sfruttare al meglio la sua occasione e spero continui così. Con Theo siamo molto legati pure in nazionale. Olivier non è una sorpresa per nessuno, e ha pure demolito come promesso la maledizione del numero 9».
Che differenze ci sono tra Ligue 1 e Serie A?
«In Italia tutte le squadre se la giocano e ti aggrediscono, c’è più intensità. In Ligue 1 le piccole di solito si chiudono di più».
Una nota negativa sono stati gli insulti razzisti. Cosa va fatto?
«La cosa dura da anni e non sarò l’ultimo. Dopo Cagliari mi hanno convocato per dare la mia versione, ma non è successo nulla. Ho la fortuna di essere sostenuto davvero dal Milan, ma nelle istituzioni italiane ed europee c’è chi forse se ne frega di punire i colpevoli. Lamentarsi non basta più. Allora toccherà a noi giocatori fare qualcosa».
Quali ambizioni ha per la Champions?
«Fare sempre meglio, imparando da quanto vissuto quest’anno. Non la vinciamo da troppi anni. È un mio obiettivo riportare il Milan ai vertici anche in Europa, dove gli spetta».
La sua Francia è favorita al Mondiale, e non ci sarà l’Italia.
«È un peccato per voi. Non credo a chi parla di favoriti, ma daremo sempre tutto per ottenere il massimo».
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photocredits: acmilan.com