il 03/08/2023 alle 22:39

Maignan: “Analisi notturne, cura dei dettagli, ma anche le risse a scuola: tutta la mia mentalità”

1 cuore rossonero

Tutta la mentalità di “Magic Mike” Maignan ai microfoni di Excellence Sport Nation

Nel corso di una bella e lunga chiacchierata per Excellence Sport Nation, Mike Maignan e il rapper “Ninho” condividono gli aspetti dell’ascesa al successo e la mentalità per arrivarci e rimanerci. Di seguito, le dichiarazioni rilasciate dal portiere del Milan.

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La sua infanzia

“Ho cominciato a toccare il pallone a 6 o 7 anni. All’inizio volevo fare l’attaccante o comunque il giocatore, poi ho finito per fare un po’ il portiere ma ho fatto entrambe le cose. Non volevo più giocare. Nel frattempo ho completato la maggior parte della mia formazione scolastica. Quando avevo circa 12/13 anni c’era Clairefontaine, gli esami si fanno lì. E io non volevo proprio fare il portiere, era noioso. Guardi gli altri giocare, non ti diverti e ti arrabbi. Poi sono andato a Clairefontaine con un allenatore che mi ha detto: ‘Se arrivi all’ultimo turno, rimani in porta’. Sono arrivato all’ultimo turno e quindi ho dovuto rimanere in porta. E poi c’era il PSG che mi seguiva, quindi il settore giovanile è andato così”.

La scuola

“Per me la scuola era un disastro. Sai, ci picchiavano per strada. Ho avuto un buon percorso formativo, per così dire. Ho iniziato la prima media, che è stata una vera lotta. Il primo anno: commissione disciplinare. È stato un incubo. Il secondo anno l’ho rischiata, ricevevo solo rimproveri. Mia madre veniva a scuola e andava su tutte le furie: venivo sempre espulso per le risse a scuola. Il terzo anno, invece, diciamo che sono cambiato. In quell’anno il Paris Saint-Germain mi seguiva. Nei primi due trimestri ho fatto una fesseria da non credere”.

Ecco l’aneddoto:

“Mi convocarono al Camp des Loges, non me lo dimenticherò mai, davanti a mia madre, presero la mia pagella, mi guardarono e dissero: ‘Ma tu sei un delinquente’. È stato un vero shock. Mia madre era in lacrime, continuava a pensare a che figlio avesse cresciuto. Io venivo educato a casa, ma fuori era una sofferenza. E dal momento che il PSG mi ha messo sotto pressione… Insomma, loro non ti prendono se non hai una pagella decente. Mi sono visto rifiutare molte cose a causa della scuola, un sacco di club che non cito nemmeno. Ecco, il terzo trimestre fu pazzesco, non mi era mai successo. L’estate dopo ho firmato il contratto con il Paris. Da quel momento sono rimasto sul pezzo fino alla seconda superiore”.

Mike Maignan e il passato da aspirante rapper

“Non ero male. Avevo il testo, ma il problema era il flow, il ritmo. Sapevo come scrivere, avevo l’ispirazione. Ero già in contatto con i grandi, ascoltavo di tutto ed ero aperto. Producevo solo piccoli suoni ma non era la mia direzione”.

Quanti sacrifici devi fare per arrivare tra i professionisti?

“Devi avere personalità, essere cattivo e avere mentalità. Non puoi sbagliare. Quando sono arrivato al centro di allenamento pensavo che ce l’avremmo fatta tutti. Non avevo quella passione sfrenata, finché un giorno uno dei ragazzi mi ha detto: ‘Hai avuto l’appuntamento per sapere se entrerai a far parte del centro? A fine stagione alcuni di noi saranno licenziati’. Prima che me lo dicesse, a dicembre, io non giocavo e non mi ha dato troppo fastidio perché la fine sarebbe stata la stessa per tutti”.

Ma da lì in poi ero in fibrillazione, iniziavo a impegnarmi. La mia passione sfrenata, il fatto che non mi piace lasciarmi niente alle spalle, è venuta fuori. Ce l’avevo già, ma si era affievolita: pensavo di essere già arrivato. In realtà era solo l’inizio. E mi sono allenato molto, ero mentalmente in forma. Tutto ciò che ho imparato in quartiere mi è stato utile: è così che sono andato avanti. Lì al centro pensi di avere degli amici, ma non è così. Solo nemici, perché tutti i ragazzi che sono lì vogliono prendere il tuo posto. E non è concorrenza leale, se potessero colpirti alle spalle lo farebbero. Era tutta competizione”.

A tal proposito, il 16 del Milan continua:

“Da un lato è positivo, ma dall’altro è un problema. Alla fine siamo lì per aiutarci a vicenda. E poi si va avanti, vedi le categorie: 17, 19… Ti allenano in modo diverso, dal mondo dei professionisti devi impegnarti ogni domenica. È difficile tenere il passo e devi farlo sempre. A volte ciò crea infortuni, dubbi… Ma tutti questi momenti faranno il giocatore che sarai domani. Ci sono allenatori che possono capirti ed è importante. Poi io parlo di questi aspetti, ma qualche fratello anche lì lo trovi. Ancora oggi sono in mezzo a loro: Rabiot, Kimpembé, Coman, Dembelé… Tutti ragazzi che hanno affrontato il centro di allenamento”.

Come si gestisce la pressione allo stadio?

“So che devo essere determinato e che se do il massimo non mi può succedere nulla, giuro. Vedi, io ho questa cosa che blocco tutto: i commenti negativi, la stampa, tutto. La cosa più importante è la mia famiglia, il mio entourage. Si parla della partita o della vita: stanno tutti bene? Ok, basta”.

Maignan e la mentalità

“Ti faccio un esempio. Diciamo che perdiamo una partita 2-1, io subisco due gol e non posso fare niente. Ma penserò a cosa avrei potuto fare per evitare che quella situazione si verificasse. A che punto avrei dovuto parlare con un giocatore per prevenire quella situazione? Questo è il mio treno di pensieri”.

Le analisi di notte:

“Se sono io che ho sbagliato, mi siedo davanti al computer e guardo il video, da solo o con il mio allenatore, magari di notte perché mi piace prendermi del tempo per pensare. Guardo ogni dettaglio e, una volta analizzato dove ho sbagliato, guardo per vedere dove è stato commesso l’altro errore. Se un giocatore ha commesso un errore, cosa avrei potuto dirgli per avvertirlo, in modo che non accada? Questi dettagli spiegano chi sono”.

Sugli apprezzamenti:

“Onestamente, non cambia nulla per me. Come hai detto: lavorare. E lavoro direi tre volte di più. Ora sto mettendo a punto, ho la maggior parte delle nozioni di base. Cerco di mantenere le basi e di lavorare sui dettagli. Diventa più un compito mentale. Per ogni situazione, devo pensare due o tre secondi in anticipo”.

La cura maniacale dei dettagli

“Quando il giocatore ha la palla, conosco già tutte le opzioni: o va sul primo palo, o al centro o dribbla. Non metto più pressione di quella su me stesso. Lavoro e lavoro. Mi sveglio ogni mattina per esibirmi, per essere il migliore. I miei compagni sono con me, nel weekend giochiamo nella stessa squadra, ma alla fine degli allenamenti devo essere più bravo di loro. Quando giochiamo una partita in allenamento, la mia squadra deve vincere. Se non vinco, c’è un problema”.

Ancora sui commenti negativi:

“Non sono il tipo di persona che legge la stampa. A volte ricevo notifiche che davvero non apprezzo. ‘Così e così è meglio di te’. Cose del genere mi infastidiscono davvero, perché so che non è vero”.

Maignan stakanovista:

“A volte divento pazzo. Ore 23, mi alzo, vado in palestra e mi alleno: terzo allenamento della giornata. E non mi stanco. Dopo la partita, quando avrò fermato il mio avversario, allora posso riposare. Poi comincio a prepararmi sulla base della mia prestazione. Cosa ho fatto per rendere in quel modo? A poco a poco, cerco di cambiare alcune cose. Riguarda la mia performance, non mi interessa quello che dicono gli altri, ma mi piace dimostrare alle persone che si sbagliano”.

Infine, ancora il solito Mike:

“Essere il miglior portiere al mondo per un anno è facile, ma mantenere il livello… Ecco perché bisogna lavorare mentalmente. Essere motivati e non mollare mai! Non importa quanti milioni guadagni o che cosa hai: devi lavorare duramente”.

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