L’invasore del derby: “Sono l’ultimo che serve i primi. Io ho sbagliato. È una cosa che non va fatta ma … il perchè del gesto””

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Alesso Guidotti, in arte Ghydos è l’invasore di campo durante il derby di sabato sera. Intervistato ai microfoni di fanpage.it, si è raccontato parlando delle motivazioni che lo hanno spinto al gesto: Mi ha fatto sentire come quello che sono, uno degli ultimi che serve uno dei primi. Ho tolto la cravatta è ho detto adesso entro in campo e divento un giocatore per un minuto. Nessuno ha il diritto di dirti quello che sei. Mai pensare di essere meno di qualcun altro solo perché stai servendo un piatto. Ci vuole rispetto reciproco”.

Chi è l’invasore: “Mi chiamo Alessio Guidotti in arte Ghydos. Ho 21 anni. Abito in Piazza Tirana a Milano, vicino a zona Barona. Lavoro nei catering di san Siro. Facevo il cameriere e due giorni fa ho fatto invasione di campo”.

Le motivazioni del gesto: “La c**ta l’ho fatta. Io ho sbagliato. È una cosa che non va fatta, questo sicuramente deve passare. So di aver sbagliato ma l’ho fatto per una cosa importante. Era una protesta per il lavoro precario dei giovani come noi che lavorano per pochi soldi e per contratti di poca durata. Quando finiscono non sai se ti prendono, non sai cosa fari e quindi non sei mai tutelato. Otto euro all’ora, però comunque sono sei ore per tre o quattro giorni al mese, per tre mesi di contratto. Qui a Milano comunque la vita costa e se non lavori cosa fai? Io abito qua nelle popolari con mia madre e dobbiamo darci da fare per tirare avanti. Non è un gioco”.

Cos’è successo prima: “Sabato prima della partita, 10 minuto prima della partita, stavo servendo di fretta perché quando entrano tutti insieme devo prendere tanti piatti. Ne porto tre alla volta. Erano 10/15 persone. L’ dove c’è il ristorante c’è la vetrina che fa vedere lo stadio. Erano entrati i giocatori. Mi sono fermato un attimo e un ragazzo mi fa – tu sei qua per servire, non per distrarti e guardare la partita. Quand’è che ci porti i piatti – Ti rimane un po’ – allora sono uno schiavo? – Ti rimane impressa come cosa. Non gli rispondi male perché comunque sei li a fare il professionista, sei un cameriere. Però ci ho pensato tutta la serata”.

Come ti sei sentito: “Mi ha fatto sentire come quello che sono. Uno degli ultimi che serve uno dei primi. Un ragazzo di Milano che lavora per pochi soldi che viene trattato male perché si è distratto 5 secondi, perché sono uno schiavo. A dieci minuti dalla fine della partita, finisco il servizio e dopo che abbiamo sistemato i tavoli e abbiamo chiuso la sala, ho tolto la cravatta e ho detto – adesso entro in campo e divento un giocatore per un minuto”.

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Come ha fatto a raggiungere il campo: “Sono uscito subito dalla vetrina, ho fatto un salto sulla prima ringhiera e ho scavalcato un po’ parkour la seconda. Il signore non mi poteva prendere perchè sono allenato. Non mi poteva prendere nessuno in realtà. Se volevo potevo continuare anche altri 5 giorni a correre però ho smesso, ho fatto la scena e me ne sono andato senza fare male a nessuno. Sono stato placato in malo modo e mi hanno fatto pure male perché mi hanno picchiato. Mi hanno tirato i pugni. Un altro che non si vede perché è stato più furbo, mentre mi diceva che ero un figlio di p******ana, mi stringeva i paesi bassi. Voleva fare la spremuta”.

Cos’è successo: “Mi sono fatto male un po’ il naso. Faccio fatica a sentire gli odori. Mi fa male un po’ la testa perché ho sbattuto quando mi hanno tirato anche i capelli e poi ho fatto la mata leao che mi ha fatto perdere quasi i sensi e avevo tutto male al collo.

Le conseguenze legali: “Loro mi hanno denunciato per invasione di campo. Mi hanno fatto un Daspo di 5 anni e non posso più entrare allo stadio. Io li denuncerò per aggressione e per aver esagerato. Io sono allenato mentre ad un signore più anziano gli avrebbero fatto male veramente”.

Messaggio finale: “Lancio magari un messaggio che può passare sbagliato però dico di continuare a credere sempre anche se vieni trattato come uno schiavo. Nessuno ha il diritto di dirti quello che sei. Mai pensare di essere meno di qualcun altro solo perché stai servando un piatto o perché stai portando qualcosa a qualcuno o perché stai lavorando per qualcuno. Siamo tutti cos’ e ci vuole rispetto reciproco se no la non va avanti. Tutto qua”

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