Intervistato da Sportweek, il settimanale della Gazzetta dello Sport, la leggenda del Milan Roberto Donadoni ha parlato di Milan – Atalanta di domani sera, oltre a diversi aneddoti sulle esperienze a Bergamo e a Milano.

Sui primi ricordi a Bergamo
«Bellissimi. Andavamo agli allenamenti in cinque su una Cinquecento, borsoni compresi. C’era molta allegria, eravamo eccitati e felici. C’erano persone importanti, che ricordo con grande affetto. Gli allenatori Scarpellini e Casati e il maestro Bonifacio. Mi ha portato lui all’Atalanta, mi ha formato, insegnato la tecnica, il rispetto per gli avversari e i compagni».
Sull’esordio con Nedo Sonetti
«No, prima Ottavio Bianchi in Serie B. Con Sonetti ho esordito in A. I primi tempi con Nedo è stata dura, era molto severo e diceva: “Ragazzo, dacci sotto, lavora e lavora. Guarda, te lo dico chiaro: o ti faccio diventare un giocatore o ti faccio smettere di giocare”. Aveva ragione lui, mi ha fatto diventare giocatore e poi qualcosa ho combinato… Esordio? Contro l’Inter, nel 1984. Lo ricordo spesso: correvo con il cuore in gola nel tunnel per arrivare in campo. Ho rischiato di rimanere senza fiato prima di cominciare. Poi è andato tutto bene e abbiamo pareggiato. E l’anno dopo con l’Inter, sempre a Bergamo, abbiamo vinto due a uno. Con Sonetti in panchina e in campo anche Cesare Prandelli. Quella è stata la prima volta che ho giocato con un compagno che poi è diventato c.t. della Nazionale».
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Donadoni sul Milan
«Sono cresciuto con il mito di Rivera, il mio idolo. Sognavo il Milan, mi voleva la Juve, mi ha preso Berlusconi. È stato lui a insistere e gliene sono ancora grato. Allora l’Atalanta era molto legata agli Agnelli. Dicevano che era un specie di succursale della Juve. C’erano stati molti affari e molti scambi. La Juve di quegli anni era fortissima, la squadra più ambita. Ma io volevo il Milan e diciamo che mi è andata bene».
Sul momento più bello in rossonero
«Non è che non mi piacciono… È stato tutto così bello, così grande e fantastico che diventa quasi impossibile scegliere qualcosa di migliore. Potrei dire la prima Coppa dei Campioni al Camp Nou contro la Steaua o l’ultima ad Atene contro il Barcellona e invece mi viene in mente quando sono stato espulso contro il Malines. Il mio avversario mi ha picchiato per tutta la partita, anche nei supplementari. A un certo punto non ci ho più visto e ho reagito con un cazzotto e così mi hanno fatto saltare la finale con il Benfica a Vienna nel ’90. Questo è uno dei ricordi più fastidiosi».
Quel Milan era veramente invincibile?
«Giocavamo alla pari con le più grandi realtà calcistiche d’Europa e del mondo. Un Milan di enorme valore, una squadra meravigliosa. Ci facevano tutti i complimenti e io ero contento perché giocavo con grandi campioni e fantastici compagni».
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Sull’esperienza in rossonero
«Insomma, me la cavavo. Si stava bene insieme. Nei primi tempi con Sacchi ho faticato, ma come tutti. Arrigo era esigente, aveva i suoi metodi e noi lo abbiamo seguito. Come abbiamo seguito Capello egli altri. Quindici anni di calcio prestigioso, ho molti buoni ricordi, ho vinto anche lo scudetto con Zaccheroni. Quell’anno ho lasciato il Milan, sono andato negli Stati Uniti, poi sono ritornato in tempo per festeggiare. Ma, oggi, con il senno di poi, non lo rifarei. Sarei rimasto nel New Jersey».
Donadoni su Milan-Atalanta
«Bel calcio. Il Milan è campione, ha avuto momenti di sbandamento. Succede. Gli alti e bassi ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Il calcio è fatto di tante cose, quello di oggi è un po’ più complicato. L’Atalanta? La famiglia Percassi in questi anni, insieme a Gasperini, ha fatto cose eccezionali. Sono bergamasco e vedere la mia città e la mia squadra da anni a questi livelli mi riempie di orgoglio. Sono anche un vecchio cuore rossonero e spero in un buono spettacolo».
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