Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, l’ex difensore di Inter, Milan e Verona Aldo Bet ha raccontato la sua esperienza in rossonero.

Il suo cuore batte per?
«Per il Milan. Ci ho trascorso tanti anni, dopo la stagione in “Purgatorio” a Verona. Ho vinto lo scudetto della Stella, con Liedholm. Peccato per la Coppa dei Campioni. Uscimmo subito col Porto. Poi venne il buio, le scommesse. Fecero anche il mio nome, ma bussarono alla porta sbagliata. Ho vissuto da atleta sempre e sono sempre stato leale. Ho preso un solo cartellino rosso».
E come?
«Diedi un cazzotto ad Amarildo in Fiorentina-Roma, ma lui mi sputò… Poi ci ritrovammo alla Roma, diventammo amici».
Oggi è un calcio diverso. Ma il Milan le ridà entusiasmo, anche se stasera deve passare dal Bentegodi.
«Non sarà per niente facile a Verona. E’ una squadra fisica, su col morale. All’andata fece penare il Milan. Poi finì 3-2. Ma la squadra di Pioli mi piace, lui è bravo. Poi ci sono Maldini e Massara che hanno fatto ottime scelte e sono sempre presenti».
Un giocatore che ammira?
«Scelgo un centrocampista, Tonali. Ha avuto una grande evoluzione. Poi si è ridotto lo stipendio per restare al Milan e per questo va elogiato ancora i più».
Lei ha guadagnato tanto?
«No, il giusto. Molto bene alla Roma, per quei tempi. Ma allora era diverso. I soldi veri li prendevano innanzitutto gli attaccanti. Il contratto si faceva di anno in anno e forse era giusto così. Stimolava a fare bene. Sono contento della carriera che ho fatto. Ho tenuto lo spirito di chi veniva dal paesino del Veneto e doveva lavorare duro. Se mi chiede come è fatto un night non glielo so dire. Ho sempre vissuto senza eccessi. Senza lussi. Non mi manca nulla, ma vivo nella semplicità».
E’ nato, calcisticamente, all’Inter ed è cresciuto con Herrera.
«Ero giovane. Sveglia alle 7, andavo a lavorare dietro il pensionato in un’azienda di lubrificanti fino alle 12. Poi via ad Appiano per l’allenamento e poi alle scuole serali. Non ce l’ho fatta a diplomarmi come perito meccanico. A 17 anni, dopo un bel torneo di Viareggio, il ds Italo Allodi mi disse: “Domani vai con la prima squadra”. Ero timido come ora, c’erano tanti campioni. Herrera mi chiama e mi dice: “Fai come Burgnich, se c’è da fare legna si fa legna. Giocai all’Inter alcune partite in prima squadra, poi mi volle alla Roma e trovai pure la Nazionale. Herrera era avanti anni luce, capiva tutto prima e con la sua forza ha fatto alzare gli stipendi a tutti gli allenatori».
Bet, lei passa alla storia per non aver mai segnato un gol in Serie A.
«Allora oltre la metà campo i difensori non potevano proprio andare. Fu Gustavo Giagnoni al Milan il primo a dire di spingerci avanti sui calci d’angolo, infatti una volta feci un assist».
Un difensore che le piace?
«Se devo parlare di un centrale italiano dico Acerbi. Sa marcare e impostare. E segna».
I più forti?
«Senza dubbio Nesta e Thiago Silva. Avuti al Milan quando facevo l’osservatore».
La sua seconda vita. Cominciata in Nazionale.
«Dopo che tornai dalla Campania, dove chiusi da calciatore in C e allenai per qualche anno. Al Nola feci bene. Mi segnalò Pietro Carmignani, che stava a Varese, ad Arrigo Sacchi. Ho iniziato nel 1988 ho chiuso nel 2005, ho lavorato anche con Maldini, Zoff, Trapattoni. La Nazionale è un’esperienza bellissima, Sacchi mi spedì subito in Estonia a Tallin. Voleva relazioni dettagliate, precise. Nel 2004 ho fatto parte dello staff di Claudio Gentile con l’Under 21evincemmo l’Europeo a Bochum».
Poi passò al Milan
«Bello. Un ritorno Difficile trovare un dirigente come Adriano Galliani. Impareggiabile. Grande sotto tutti i punti di vista. Con una gran società alle spalle. E aggiungo Ariedo Braida come sottotitolo. Dirigenti che sapevano tutto dei calciatori italiani e di quelli stranieri».
Bet, un colpo da osservatore?
«Mi vengono in mente quelli che segnalai e non furono presi. Koulibaly del Napoli lo vidi al Metz, nella seconda lega francese nel 2010. Salah del Liverpool era al Basilea. L’ultimo notato che vedo bene ora è Skriniar. Lo osservai in Olanda con l’Under 21 slovacca».
Ora è all’Inter a contendere lo scudetto al Milan.
«Affascinante vedere una sfida così aperta fino alla fine. L’Inter è fisica e tecnica, il Milan ha organizzazione e non muore mai».
Chiudiamo tornando indietro: spesso pensando a lei viene in mente quell’immagine in Cagliari-Milan del 1976 in cui Rombo di tuono chiuse praticamente la carriera. Ma lei non gli fece fallo…
«Ma no. Lo anticipai e lui cerco di rincorrere. Si stirò male. Capii che era brutto. Andai negli spogliatoi e gli dissi “Non c’entro nulla”. Stava male. E’ stato il più difficile da marcare. Sul vertice dell’area a sinistra se poteva tirare era sempre gol. Giocava di forza e ti trascinava via».
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