La Gazzetta dello Sport ha intervistato questa mattina Alberto Gilardino, ex attaccante rossonero che domani compirà 40 anni.

Cifre importanti: 188 gol in A (9° di tutti i tempi), 19 in Nazionale, 15 con l’Under 21 (capocannoniere storico con Pirlo). E poi il Mondiale, la Champions. Sognava così la sua carriera?
«Ho avuto tante soddisfazioni personali e collettive in un’epoca piena di fantastici attaccanti. Ci rifletto a volte: adesso non c’è una grande concorrenza. Ho avuto la fortuna di vincere tanto con il Milan e di vivere grandi emozioni anche quando ho lottato per la salvezza. Tutte le esperienze sono state belle. Poi, è chiaro, il Mondiale è il sogno di ogni bambino. Penso di aver fatto bene dappertutto. E quando non ci sono riuscito, a causa di qualche acciacco, ho lasciato un buon ricordo dal punto di vista umano: la soddisfazione più bella. Sono stato rispettoso con allenatori, dirigenti, compagni, tifosi. E ho sempre dato tutto».
È stato considerato troppo buono: le ha mai dato fastidio?
«Meglio troppo buono che troppo cattivo. Non so se con un altro carattere avrei fatto la stessa carriera. Sono introverso, riservato. La mia fortuna è che mi faccio scivolare tanto addosso. E di fronte alle difficoltà sono sempre rimasto calmo e lucido».
Quale sapore hanno oggi le finali di Mondiale e Champions vinte da riserva?
«Un sapore meraviglioso. Certo, avrei voluto giocare eh… Ma il tempo ti fa guardare le cose in modo diverso».
Al Milan le è mancato qualcosa?
«Due anni ottimi, il terzo meno: andai via perché ho sempre cercato di essere al centro del progetto. La concorrenza non era un problema, ma avevo bisogno di una squadra che esaltasse le mie caratteristiche. E a Firenze trovai un ambiente straordinario».
Il compagno con cui si è trovato meglio?
«Morfeo al Parma: mi capiva al volo. Ma poi anche Kakà, Mutu, Jovetic, Vazquez».
L’allenatore con cui ha legato di più?
«Difficile scegliere. Ho avuto la fortuna di averne tanti e bravi: Prandelli, Ancelotti, Lippi, Gasperini, Pioli, Mihajlovic».
Il gol da incorniciare?
«Ad Anfield con la Fiorentina e a San Siro contro il Manchester United: notti di Champions».
Il violino?
«L’ho rimesso nella custodia. Quell’esultanza mi ha accompagnato nel mio viaggio».
Come mai Prandelli non la portò al Mondiale 2014?
«Scelta tecnica: la presi male perché meritavo di essere convocato. Adesso da allenatore capisco che le valutazioni comprendono tantissimi aspetti».
Lei che tipo di allenatore è?
«Più coerente e sincero possibile. Sto crescendo e ringrazio il Genoa che mi ha affidato la Primavera. Mi piace il 4-3-3, ma sono sempre pronto a cambiare».
Gila, ma se si guarda indietro cosa vede?
«Vedo il piccolo Alberto che torna a casa in tempo per vedere “90° minuto”: non volevo perdermi nessun gol. È bello avere un sogno, ma poi devi coltivarlo con il sacrificio, il lavoro, l’umiltà. Io sono in pace con me stesso, mi godo mia moglie Alice e le nostre figlie Ginevra, Gemma e Giulia. Domani festeggerò con un aperitivo: una cosa semplice, come piace a me».
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Photocredits: acmilan.com