Ivan Gazidis ha rilasciato una lunga intervista al Corriere dello Sport. Queste alcune delle sue principali dichiarazioni:

Sul mix tra giovani ed esperti: “Quando arrivai al Milan dissi che avremmo costruito la squadra sui giovani, ma senza escludere elementi esperti che avrebbero rafforzato il gruppo dandogli una guida. Non ho mai detto no a Ibra. Anzi, fu lui a dirci di no l’anno prima, non voleva lasciare i Galaxy. Ne favorii l’arrivo e, per di più, suggerii l’acquisto di Cesc Fàbregas, che non andò in porto per altre ragioni”.
Su Ibrahimovic: “È stato sorprendente conoscere Zlatan. È divisivo: o lo ami o lo odi. Penso che investa su questa caratteristica per motivare se stesso. È un uomo molto intelligente e ha anche un lato soft, che esprime nel rapporto con la squadra. Non è sufficiente ruggire come un leone sul campo per guadagnarsi il rispetto dei compagni. Sono molto utili i momenti di tenerezza. Una parte di lui è destinata all’immagine che deve dare in pubblico.
Prevale comunque la componente motivazionale: Ibra non si accontenta mai, è sempre sopra le righe, il leone se lo sente addosso. E ovviamente non pensa di essere Dio. Il desiderio di essere qualcosa in più, e di diverso, è nella sua natura. Il gruppo è molto stimolato dalla sua presenza. Ed è notevole che, a 39 anni, riesca ancora a competere a questi livelli e a essere così determinato a vincere, è eccezionale. Con Pioli c’è un ottimo equilibrio. E come Ibra mi ha sorpreso per il suo lato tenero, così Pioli mi ha colpito per il carattere. Mi ha impressionato la forza di Stefano, oltre alla sua sensibilità”.
Su Donnarumma
“Non voglio rivelare i dettagli, né la tempistica, e non conosco il rapporto tra Gigio e Mino Raiola. Alla fine, ovviamente, la decisione è sempre del calciatore. Quello che posso dire è che Gigio è stato un professionista eccezionale, in ogni singolo giorno, e nell’ultima partita contro l’Atalanta non c’era nessuno più felice di lui per la qualificazione in Champions. Nutro una stima assoluta nei suoi confronti, così come rispetto le sue scelte. Nessun accento negativo. Ha fatto ciò che pensava fosse meglio per lui, e ci sono alcune ragioni dalla sua parte, ma non indico quali. Non abbiamo alcun problema con Raiola, siamo in buoni rapporti. Certe decisioni vengono prese dai giocatori, non dai loro agenti. I singoli casi li analizziamo senza alcun pregiudizio”.
Sul passare dall’essere un numero due a guidare il Milan
“Beh, non sono così sicuro di essere stato un numero due. Nel ’94 io e un amico fondammo la MLS e ci ponemmo sullo stesso piano. All’Arsenal ero il Chief Executive, cioè il numero uno. Il ruolo di Arsene Wenger era superiore a quello del semplice allenatore: un manager in senso lato. È altrettanto vero che dal punto di vista sportivo io avessi meno peso. Ma nella MLS ero il direttore dell’intero campionato: e non si trattava di un ruolo commerciale – lo diventò in un secondo tempo, in realtà era un incarico prettamente sportivo. Ingaggiavo i giocatori per tutte le squadre, mi occupavo delle questioni arbitrali, dei programmi analitici: qualsiasi tema tecnico era di mia competenza. Arrivare al Milan non ha comportato alcun salto di qualità o di ruolo, da questo punto di vista”.
Sul sistema calcio in Italia e sulla necessità di alzare i fatturati
“Siamo in viaggio… La cosa difficile da accettare è che non esistono scorciatoie. La buona notizia è che in questo viaggio non vi è nulla di misterioso. Altri l’hanno affrontato prima di noi e con successo. Se guardiamo alla Premier League, la base del rilancio sono stati gli stadi. Quando il calcio inglese ha toccato il fondo, il governo ha incoraggiato la costruzione di nuovi impianti. La comodità dei posti e la facilità dell’accesso all’evento hanno migliorato il rapporto pubblico-calcio. Si sono riviste le famiglie, poiché c’era più sicurezza, e la qualità dell’esperienza è cresciuta. I ricavi e la capacità di spesa hanno fatto immediatamente un balzo in avanti. Al rilancio del football hanno concorso anche altri fattori, ad esempio Sky, e così via. La stessa cosa è successa negli Stati Uniti. Quando fu fondata la MLS non c’erano stadi dedicati. Ora invece, con 29 o 30 squadre, se non sbaglio, ci sono 20 strutture nuove di zecca, impianti incredibili”.
Sul Milan
“Se penso alle sfide che abbiamo dovuto affrontare al Milan, sin dal primo giorno… Dovevamo portare in pari i conti, perché il rosso aveva superato il livello di guardia, e allo stesso tempo migliorare le performance sul campo. Se avessimo copiato dei modelli esistenti avremmo fallito entrambi gli obiettivi. Dovevamo fare qualcosa di rottura, trovare un modo di agire tutto nostro, altrimenti non avremmo avuto alcuna possibilità di evitare l’angolo morto”.
Sul nuovo stadio di Milan e Inter
“Resto ottimista. Non solo per il Milan, ma per il calcio italiano in generale. La Juventus con il suo stadio è stata dominante. Con una concorrenza più ampia e finanziariamente solida, il livello complessivo salirà. L’altra cosa che il calcio italiano deve fare e pensarsi al futuro e al di fuori dei propri confini mentali e culturali. Quando l’Inghilterra smise di guardare soltanto in casa, rinunciando alla storica autoreferenzialità, spiccò il salto decisivo”
Sui progetti futuri del Milan
“La sfida è far acquisire una mentalità più ottimista a una squadra che veniva da un lungo periodo di difficoltà ma, aggiungerei, anche espressione di una cultura calcistica molto radicata e facile al pessimismo. A volte si ha bisogno di un po’ di ingenuità. Oltre a carattere, forza, chiarezza e costanza”
Sulla Superlega
“La Superlega, per come era stata concepita, è morta. Tuttavia, i problemi che hanno portato a quel progetto rimangono inalterati. Tutti nel calcio, in particolar modo coloro che sono incaricati di regolamentarlo, devono riflettere seriamente sulle origini dei mali e su cosa si può fare per ottenere un calcio migliore e sostenibile. Mi preoccupo quando si parla di vincitori e vinti, Non vedo vincitori. Mi auguro che non ci sia alcuna “rottura”. Un processo si terrà alla Corte Europea di Giustizia, non sono un avvocato competente, ma il dialogo è sempre la soluzione più valida. Gianni Infantino ha detto qualcosa al riguardo, non mi faccia aggiungere altro.
La gente parla di avidità. Il nostro club ha perso 200 milioni l’anno scorso. È forse da avidi provare a inseguire lo zero, il punto di pareggio? È da avidi affermare che saremmo felici se lo raggiungessimo? Perdere 200 milioni significa che qualcosa si è rotto. Non siamo un unicum, riguarda tutti”
Sulle scelte di Boban, Maldini e Massara
“La squadra sta sopra ogni cosa e persona. Quindi il punto è trovare qualcosa o qualcuno che funzioni per essa e quel qualcosa o quel qualcuno può essere frutto di scelte originali. Da fuori la gente può pensare che ognuno operi all’interno di perimetri fissi, le cose non stanno così. Noi lavoriamo come un team, con altre persone coinvolte, non solo Maldini e Massara. Ho creduto in Paolo fin dal primo momento, sapevo che sarebbe potuto diventare un direttore sportivo top level, ed è proprio ciò che è oggi”.
Sul mercato
“I tifosi sono intelligenti e consapevoli, le tappe del viaggio che la nostra squadra ha intrapreso non sono al buio. Il calcio non può crescere ripetendo se stesso. Abbiamo imparato qualcosa negli ultimi dodici mesi e abbiamo il dovere di sfruttare le nuove informazioni.
Il Covid c’entra fino a un certo punto, le difficoltà erano evidenti anche prima del lockdown. Si sta verificando un adeguamento mondiale che deve precedere un rinnovamento sostanziale. Il mercato che vedremo quest’estate sarà diverso da quello dell’estate scorsa e da tutti quelli che l’hanno preceduto. Il nostro obiettivo è continuare a essere ambiziosi e ottimisti, migliorare la squadra seguendo il giusto cammino e coniugando risultati e stabilità finanziaria. Questo è importante, perché senza la stabilità la squadra ripiomba nell’incertezza. Servono disciplina e chiarezza.
L’attenzione continuerà a essere focalizzata sui giocatori giovani, con alcuni elementi esperti”
Sul progetto che può fare il Milan con il fondo Elliott
“Fin dal primo giorno ho fatto ciò che credevo fosse necessario per il bene della squadra ma ragionando sempre al futuro. Il mio atteggiamento non ha niente a che vedere con il fondo e con la possibilità che possa vendere: non so se questo accadrà tra uno, tre o dieci anni. La vision è riportare il Milan al top. Poi, ovviamente, il fatto che questi fondi entrano nel calcio deriva dal fallimento della regolamentazione e dell’organizzazione. Molte di queste situazioni si verificano perché alcune squadre sono in difficoltà ed è nelle difficoltà che i fondi intervengono e investono. Il calcio potrà avere delle proprietà molto più forti, se il nostro modello di business sarà regolamentato meglio e se le norme saranno rispettate da tutti. Questo è un altro grande obiettivo: avere i migliori proprietari, forti e solidi. Se hai un modello di business folle, non avrai proprietari forti, ma folli. Oppure fondi che raccolgono i cocci”
Rileggi qui l’intervista di Ibrahimovic a Gazzetta
photocredits acmilan.com