Alla vigilia della partita contro il Manchester United, valida per gli ottavi di Europa League, RadioRossonera ha contattato Fabio Cudicini per porgli qualche domanda sul Milan attuale, sul Manchester United e sulla famosa semifinale del ’68/’69 proprio contro gli inglesi.


Buonasera, immagino stia seguendo il Milan attuale. Cosa ne pensa dell’accoppiamento (inedito per l’Europa League) con il Manchester United? È contento oppure avrebbe preferito incontrarlo più avanti?
“Beh, felice non direi, ma in ogni caso penso che prima o poi queste squadre vadano incontrate. Nelle competizioni europee, poi, temo principalmente le squadre inglesi e tedesche, perchè giocano ad altissimo ritmo per tutti i 90 minuti.
Per fortuna arriva in un momento in cui recuperiamo qualche giocatore infortunato, e mi auguro ci presenteremo nelle migliori condizioni fisiche possibili.”
È ottimista riguardo il passaggio del turno?
“Si sono ottimista. Ho visto il Derby qualche giorno fa (vinto dallo United, ndr) e li ritengo una squadra di esperienza e di qualità.
Noi non siamo al massimo della nostra condizione fisica, ma qualche guaio fisico ce l’hanno anche loro (Rashford e De Gea).
Mi preoccupa sicuramente il loro attacco e le loro scorribande offensive; dovremo impostare una fase difensiva compatta e molto attenta.
Ma rimango ottimista: in difesa non mi sembrano molto solidi, penso che potremo metterli in difficoltà.”
Molti degli attuali giocatori del Milan non hanno mai giocato in Champions League. Secondo lei, è stimolante per questi giovani dover affrontare un avversario “da Champions”? Pensa che il loro percorso di crescita passi anche attraverso queste partite?
“Si, senza dubbio. Pioli mi sembra un allenatore adatto per preparare questo tipo di partite, anche dal punto di vista psicologico.
Sai, quando si ha una squadra molto giovane può mancare l’esperienza necessaria per giocare contro avversari così forti e preparati.
Ma affrontare queste difficoltà fa parte del percorso di crescita di questi ragazzi. Per qualcuno potrebbe addirittura essere un’esperienza prematura, ma sono convinto che riusciranno a superare le difficoltà che incontreranno. “
Da fuoriclasse a fuoriclasse, cosa la sorprende di più del nostro Gigio Donnarumma?
“Principalmente l’aver imparato molto velocemente quelle che sono le doti che deve avere un portiere. Ha avuto la bravura di non abbattersi nei momento di difficoltà e ha mostrato molto carattere per un ragazzo della sua età.
Mi ha sorpreso la velocità del suo percorso di crescita, ha già collezionato 200 presenze in Serie A a soli 22 anni. Ha un futuro davvero radioso.
Solitamente i portieri raggiungono la maturità calcistica verso i 25-26 anni, lui ha bruciato tutte le tappe ed è già un giocatore completo.”
Torniamo un po’ indietro nel tempo. Stagione 1968/1969, Coppa dei Campioni poi vinta dal suo Milan. La partita simbolo è forse la semifinale contro il Manchester United. Come si è sentito quando ha visto l’accoppiamento con gli allora campioni in carica?
“Le dirò la verità. Noi avevamo un grande allenatore (Rocco, ndr) sotto il profilo della motivazione e del lavoro sulla testa dei giocatori. Eravamo una grande famiglia dove lui era ovviamente il capobranco.
Questo non toglie che fossimo ben consci che ci saremmo trovati di fronte una grande squadra con un attacco fulminante, da George Best e Bobby Charlton.

Come ci si prepara ad una partita così importante?
“Nella settimana di preparazione alla partita mi sono focalizzato sulle uscite alte perchè avevamo previsto che avrebbero fatto molti cross.
All’epoca, inoltre, soprattutto in Inghilterra, la carica sul portiere era “abbastanza” ammessa: le spinte leggere raramente venivano sanzionate, e quindi mi sono preparato anche su questo tipo di gioco.”
Dopo l’andata finita 2 a 0 a San Siro, il ritorno finì con una sconfitta per 1 a 0 che però sancì la qualificazione alla finale contro l’Ajax. Ad un certo punto i tifosi avversari le lanciarono un oggetto che la colpì in testa. Cosa si ricorda di quei momenti concitati?
“Guardi, ho perso i sensi e di quel preciso momento mi ricordo poco.
Mi ricordo però che già dall’entrata in campo avevano iniziato a lanciare oggetti acuminati verso il campo.
Ma ciò che mi colpì era in realtà una specie di pallina di ghisa, che per fortuna non mi prese in pieno. Il medico mi raccontò alla fine della partita di aver detto, in dialetto veneto, a Rocco: “Sta ben, sta ben, mi ha detto che va avanti”.
Quell’episodio però non mi ha intimorito, ho fatto il possibile per dimostrare agli avversari di stare bene, per non dargli ulteriore coraggio. “
Le sue prodezze in quella partita le fecero guadagnare l’appellativo di “Ragno Nero”, in passato appartenuto ad un grandissimo portiere come Lev Yashin. Immagino sia stato un onore per lei.
“La mattina dopo quella semifinale, come da prassi, stavo leggendo i giornali; e mi saltò all’occhio l’appellativo: “Black Spider”. Dato che conoscevo il significato della prima parola ma non quello della seconda, chiesi ad un cameriere cosa significasse “spider”.
Quando capii che era lo stesso soprannome dato al mio idolo Yashin, ne fui incredibilmente orgoglioso e felice.
Ma ciò che mi ha più sorpreso è il fatto che questo epiteto sia rimasto anche oggi; capita ancora adesso che qualcuno mi saluti con un ‘Ciao Ragno!’.”
In conclusione, ha un aneddoto da raccontarci su suo figlio Carlo, anche lui portiere come il padre?
“Mi ricordo che quando ha iniziato a giocare come professionista, gli ho dato qualche suggerimento per i calci di rigore: gli ritagliavo le fotografie dei tiratori per mostrargli la posizione del piede e del corpo dell’attaccante.
Ma per il resto non mi sono intromesso; pensi che durante le sue partite mi mettevo in un angolo con gli occhiali da sole scuri per non farmi riconoscere e non mettergli pressione (ride, ndr).”