I cicli nel mondo dello sport sono percorsi che da sempre hanno segnato la storia di un singolo atleta e di un club. Quando si vive l’apice ci si sente invincibili mentre è forte il senso di negatività nel fisiologico momento del declino. Sono vissuti steriotipati di un tifo che deve imparare ad assaporare il gusto della razionalità in quei periodi che hanno tutto per essere etichettati come possibile inizio di un nuovo ciclo.

È la storia del Milan di Pioli, Maldini, Massara, Gazidis e di tutta la rosa che da quasi due anni è stabile sul podio del calcio italiano nonostante forti venti di diffidenza e correnti che spingono questa o quell’altra nave, battenti bandiere di altri club, in porti d’élite.
Non è il momento dell’emotività. I dettagli e le scelte faranno la differenza. A nove giornate dalla fine la lucidità di guardare in faccia alla realtà e ai propri limiti è la vera virtù che potrebbe delineare la linea di confine tra il sogno e la realtà.
In questo girone di ritorno sembra si viva una sorta di “maledizione del due”. I ragazzi di Pioli in due occasione hanno fermato la loro corsa dopo due vittorie consecutive in campionato. È successo dopo Roma e Venezia. Dopo prestazioni convincenti, larghe vittorie e diffuso e legittimo entusiasmo, nelle due successive partite con Spezia e Juventus a San Siro si è racimolato appena un punto.
Dopo la sosta per le nazionali, l’entusiasmo per la vittoria nel derby (passando per la bellissima prestazione con la Lazio in Coppa Italia) e la vittoria contro la Sampdoria sono state il preludio di altre due delusioni inaspettate con Salernitana e Udinese. Alzare la guardia subito per non ripetere un percorso simile allo scorso anno quando nel girone di ritorno non si è mai andati oltre le due vittorie consecutive. Andamento che costò il primo posto dopo 21 giornate di vertice. Solo nel finale di stagione si tornò alle tre vittorie consecutive (Benevento, Juventus e Torino). Filotto inutile ai fini dello scudetto ma fondamentale per il raggiungimento, se pur prestigioso, di un posto in Champions League.
L’alta quota non deve far paura. Piuttosto bisogna temere la paura di un rimpianto. Che siano avversari di livello o no, bisogna scendere in campo con la voglia di andarsi a prendere tutto ciò che si è meritato con il sacrificio, il lavoro e la programmazione di due anni. Contro tutti e tutto.
Capire in che modo si possono evitare Salerno, Udinese, secondo tempo con l’Empoli curando tutti quei dettagli, dall’intensità di un allenamento alla qualità del riposo fino ad arrivare alla musica che si ascolta. Tutto. Che Cagliari sia un crocevia decisivo per convincersi che non esistono big match o partite semplici ma in ogni minuto di ogni partita c’è tutto ciò che serve per spiccare il volo senza soffrire di vertigini. Questa squadra può e deve.
Ma il futuro non è solo Cagliari e ultimi due mesi di campionato. Il ritorno ad essere grandi passa non solo dalla qualità di una dirigenza che programma in ogni momento della giornata ma soprattutto dalla questione stadio. È il classico, stucchevole, film all’italiana. Milan e Inter sono ormai da mesi in balia di beghe politiche, ricorsi e referendum. Capisco e rispetto la posizione di tutti ma ho serie difficoltà a condividerle. Il nuovo stadio sarebbe una grande opportunità per la città di Milano. Rappresenterebbe un fiore all’occhiello che la renderebbe ancora di più al pari delle grandi metropoli europee.
“Il dibattito pubblico bisogna farlo. Il problema è se le squadre avranno ancora la pazienza per aspettare alcuni mesi o no”. Pazienza di aspettare? Così il Sindaco Sala qualche giorno fa. Ma come, sono mesi che si fa un passo avanti e dieci indietro e difronte ad un progetto innovativo e avveniristico, si chiede ancora pazienza?
Va bene, San Siro è la storia, San Siro è l’emozione fatta a monumento. Ma il passo con i tempi non va ignorato per quanto crudo e cinico possa essere. Per tornare a far di Milano la capitale del calcio europeo, bisogna accettare questa realtà. Temo che l’aspetto romantico intorno alla “Scala del calcio” sia un tentativo di traccheggio per far cadere il tutto nel dimenticatoio. Magari per poi dire: “le solite cose all’italiana”. E no, bisogna avere il coraggio di scegliere.
Uno dei templi del calcio mondiale anni fa, è stato abbattuto e ricostruito senza battere ciglio. E parlo di Wembley. Non penso ci sia da aggiungere altro.
L’apertura del Sindaco di Sesto San Giovanni, Di Stefano, ad accogliere il nuovo stadio di Milan e Inter, sarebbe da cogliere al volo. Nell’intervista esclusiva rilasciata ieri alla nostra redazione, il Sindaco Di Stefano è stato chiaro: “Costruire lo stadio a Sesto avrebbe di sicuro grandi vantaggi: garantirebbe minori tempi di realizzazione del progetto … step burocratici da affrontare per un’area privata più leggeri e veloci”. E poi aggiunge: “Il progetto di Populous-La Cattedrale sarebbe trasferibile a Sesto, sia a livello di volumetrie per l’abbondanza di spazio nelle ex aree Falck, sia a livello di normativa urbanista che possiede una flessibilità tale da poter ospitare una struttura come lo stadio se inserita nella progettazione generale”.
E se curare i dettagli e fare scelte difficili e coraggiose in campo e dietro la scrivania fosse l’anticamera di un ciclo pronto a prendere vita? Andiamoci a prendere il futuro!
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