In questi giorni provare a distrarsi dall’assurda guerra in terra ucraina non è pratica semplice. Le scene strazianti dei bombardamenti, genitori che provano a mettere in fuga i propri figli oscurano qualsiasi altro argomento.

Ma solo lo sport può unire. Solo lo sport può essere il salvagente al quale aggrapparsi e provare a respirare un’aria salubre e depurata da qualsiasi vento di guerra.
E domenica alle 20.45, lo Stadio Maradona deve essere palcoscenico di uno spettacolo che va oltre il calcio. Napoli e Milan, per storia, passione, sono i migliori attori protagonisti che potevano capitarci in questo momento.
Il titolo di questo editoriale può trarre in inganno. Non è mia intenzione rinnegare i torti subiti contro l’Udinese, lo Spezia e con lo stesso Napoli all’andata. Il problema è un altro. Nell’avvicinamento all’evento, nella preparazione settimanale alla gara, bisogna solo lavorare per provare a risolvere quelle mancanze che il Milan palesa da un po’ troppo tempo. Mentre, davanti ad una designazione, d’esperienza o no, è oggettiva l’impotenza. Bisogna solo sperare che vada tutto bene. Ecco, appunto, siamo ai confini dell’esoterismo.
Per troppi mesi ci siamo aggrappati ad argomenti che hanno tutto il sapore degli alibi come infortuni, errori arbitrali ma il percepito è che questo Milan ha smarrito la sua identità. Paradossalmente, la buona prova di Coppa Italia contro l’Inter, l’ha confermato.
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Sono due anni che il vero top player del Milan di Stefano Pioli è il collettivo, il gioco di squadra. Squadra corta, attenta, veloce, verticale. Caratteristiche che, salvo in rarissimi casi, non si sono più viste da un po’ di settimane.
Lungi da me entrare in questioni tecniche ma da quando la scelta è caduta su una trequarti composta da Messias, Diaz e Leao, il famigerato concetto di piolismo è come se fosse venuto meno. La squadra ha iniziato a giocare sul singolo. Palla a Leao per affidarsi alle sue giocate; stessa cosa Messias che prende palla e senza “strappare”, rientra da destra, sul sinistro per provare il tiro sul secondo palo. Giocate che ricordano quel Suso messo da parte nel gennaio 2020 per dare spazio proprio all’inizio del piolismo. E se a tutto questo ci aggiungiamo un Diaz, eterno Godot, che da mesi non è nè carne e né pesce tradendo un talento personale straordinario, il concetto di squadra è il vero argomento sul quale soffermarsi a riflettere.
I due derby negli ultimi 20 giorni devono essere uno spartiacque per prendere coscienza del presente, lasciar perdere gli alibi/torti e costruire il futuro.
Nel derby di campionato, dopo 70 minuti brutti, ha illuso l’ultimo trionfale quarto d’ora che unito al 4-0 contro la Lazio di qualche giorno dopo, ci ha regalato un Milan bello ma forse casuale. Perché casuale? Il perché è nel ritorno a prestazioni prive di quelle caratteristiche tipiche del Milan di Pioli che abbiamo imparato a conoscere in due anni. Salernitana e Udinese (parlo di prestazione e non di episodi o risultati) sono lì a confermarlo non solo nel risultato bensì nell’atteggiamento e nelle prestazioni.
Il derby di Coppa Italia, se pur non memorabile dal punto di vista estetico, ci ha ridato l’identità del Milan di un tempo. Partendo dalle scelte dei protagonisti. Corto, attento, con ritmo, verticale, insomma, in una sola parola … il Milan!
Domenica non bisognerà accontentarsi ma bisognerà partire e puntare sull’identità di sempre. Servirà molto di più ma è anche vero che questa squadra ci ha dimostrato che se messa all’angolo, ha sempre trovato il guizzo per uscirne.
È la speranza di un popolo, quello rossonero, che non ha intenzione di “vedere Napoli e poi morire” ma “vedere Napoli e …” continuare a sognare.
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