il 12/08/2022 alle 10:25

Doveri: “Cambiamo linea, fischiamo all’inglese!”

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Intervistato dal Corriere dello Sport, l’arbitro di Serie A Daniele Doveri ha parlato del cambio di rotta della classe arbitrale: ci si avvicina alla Premier?

Sulle modalità di arbitraggio
«All’inglese? Non dipende solo da noi.
Per numero di falli siamo allineati alla Champions e ci avviciniamo alla Premier. L’indicazione è quella di non sanzionare tutti i contatti di gioco, ma l’obiettivo di uniformarci al calcio inglese deve essere condiviso da tutte le componenti. Io non entro in campo col proposito di fischiare poco o molto. Devo mettermi in connessione con la partita e con il modo in cui la interpretano i calciatori. Sono loro alla fine che decidono quanti falli devo fischiare. Nelle statistiche sono proprio in mezzo al gruppo. Ma le statistiche non spiegano tutto. L’anno scorso ho arbitrato gare fischiando dodici falli, ma in Genoa-Udinese ho fermato il gioco quarantotto volte. Se lascio giocare un contrasto duro, e mi ripeto in quello successivo, e poi la terza volta si spaccano una gamba, vuol dire che non sono sintonizzato con la partita. Se invece lascio andare qualche contatto vigoroso e percepisco che i calciatori accettano di confrontarsi fisicamente, ma in maniera leale, allora posso proseguire su quella strada. Il fatto è che nessuno ti dice che non spezzerà la gamba all’avversario, devi intuirlo da come gli atleti interpretano la gara, e anche da come si rialzano dopo essere caduti per terra. C’è un codice culturale che fa una strana microfisica del potere. È quella che decide quanto è possibile abbassare l’asticella del controllo. L’arbitro deve saperla leggere, ma non la impone solo lui. Se la tensione cresce, i colpi si fanno più duri, le proteste s’infiammano, tu devi smorzare i toni, perché il compito dell’arbitro è anche quello di proteggere l’incolumità dei calciatori».

Sul numero di falli
«Sul numero non scommetto, perché non siamo noi a fare il gioco. Ma certamente cercheremo di avere ancora più discernimento tra ciò che è fallo e ciò che è contatto».

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Sull’atteggiamento degli arbitri
«Chi protesta in modo istintivo e misurato sarà compreso, come sempre. Perché la frustrazione fa parte della psicologia del gioco e impone tolleranza. Chi prova a farti pressione in modo sistematico va invece avvisato con il cartellino. Prima giallo. Ci sarà più attenzione a questi atteggiamenti, soprattutto sulle panchine. Ci sono allenatori che escono dall’area tecnica per dare disposizioni in campo e magari si agitano perché il climax della partita è alto. Li puoi comprendere. Ma chi si fa avanti per venti metri, con l’aria minacciosa di chi non ci sta, non può essere tollerato».

Sul concetto di volontarietà
«La volontarietà deve cogliersi nell’intenzionalità della giocata come atteggiamento psicologico, ma anche in alcune condizioni oggettive. Se il pallone viaggia a velocità, è più difficile da controllare, e quindi è più difficile intendere la deviazione come volontaria. Lo stesso deve dirsi se il pallone sbuca quasi come un rimpallo tra un nugolo di giocatori. Sono parametri che ci aiutano a distinguere che cos’è intenzionale, ed esclude il fuorigioco, e che cosa invece è involontario. È importante anche il controllo del corpo. Il gesto disperato di un calciatore che scivola per interdire il pallone non è una giocata intenzionale. Sui tiri e sui cross vale la geometria del braccio: se è largo, è rigore. Ma nelle altre situazioni la dinamica avrà un peso più importante. Il braccio largo è meno rilevante se è coerente con l’intenzionalità della giocata, a patto di non esagerare. Per fare un esempio, nessuno può pensare di saltare su un calcio d’angolo allargando le braccia al cielo».

Sul challenge
«Noi applichiamo il regolamento. Il challenge è ormai una soluzione allo studio di FIFA e IFAB, sollecitata peraltro da molti. Quando ci sarà presentata, non avremo pregiudizi. Sono curioso di sperimentarla. E di verificare se servirà a ridurre le polemiche».

Sul tempo effettivo
«E’ il miglior modo per scongiurare l’ostruzionismo». 

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