A distanza di 4 anni, Roberto Donadoni rivela il retroscena: è stato vicinissimo a sedersi sulla panchina del Milan dopo l’esonero di Marco Giampaolo
A poche ore dal suo 60esimo compleanno, la Gazzetta dello Sport ha intervistato Roberto Donadoni, grandissimo pezzo della storia del Milan a cavallo tra gli anni 80 e gli anni 90. Dopo qualche aneddoto e qualche ricordo della sua carriera in rossonero e non, Donadoni ha parlato di quando nel 2019 è stato vicinissimo a sedersi sulla panchina del Milan dopo l’esonero di Marco Giampaolo. Nel finale, qualche considerazione sulla squadra di Stefano Pioli e sul derby d’alta classifica che si giocherà alla fine della pausa Nazionali.

L’Atalanta e il Milan
«Sono cresciuto a Cisano Bergamasco giocando coi compagni di classe delle elementari, la mia prima squadra. Tutti bravi, sfidavamo quelli delle medie. A me toccava giocare col freno a mano tirato. Arrivo all’Atalanta ma fino ai 14-15 anni ero piccolino, tanto che pensavano cedermi. Mio fratello allora disse: “Piuttosto lo compro io”. Rimasi, poi sapete come è andata. Bortolotti, presidente dell’Atalanta, aveva deciso di vendermi alla Juve ma io, supportato dal d.s. Previtali, spinsi per il Milan. Tifavo per loro…».
Una vita in rossonero
«Partita più bella? La finale di Coppa Campioni ’89 con la Steaua. Abbiamo giocato partite migliori e battuto avversari più forti, ma quello è lo spartiacque che ci ha proiettato in un’altra dimensione: li facemmo sembrare mediocri. E non lo erano. Nel 2-0 al Malines del ‘90? Mi riusciva tutto, sì, anche se il risultato si sbloccò dopo la mia espulsione… Fu una delle mie prestazioni migliori. Ne ricordo un’altra, in Nazionale. Italia-Ungheria, arrivavo da mesi di pubalgia, la mattina della partita mi svegliai col solito dolore. Misi piede in campo e il fastidio sparì. Segnai due gol e procurai un rigore, gara chiusa dopo 45’. Mi sentivo un marziano. Nella ripresa il dolore tornò».
Compagni, presidenti e derby
«Van Basten il top. Di botte ne ho prese tante… Beppe Baresi, Conte, Vierchowod. E Bruscolotti: mi diceva “se superi la linea di centrocampo ti spacco una gamba”. Sono legato a Berlusconi, esempio professionale e umano. E Spinelli: a Livorno ci fu qualche incomprensione, tutto appianato negli anni. Ogni tanto mi chiama: “Io non capisco, come fa uno bravo come lei a essere senza squadra?”».
«Il derby del cuore è il secondo che giocai. Berlusconi aveva preso Galderisi ma Liedholm gli preferiva Virdis e Hateley. Galderisi, che voleva giocare a tutti i costi, per capire che aria tirava senza passare da Liedholm interpellò il mago Maggi, al quale il mister era legatissimo. Alla fine giocarono tutti e tre e vincemmo 2-1».
Da Donadoni a… Pioli: il nuovo Milan
«Nel 2019, dopo l’esonero di Giampaolo. Mi chiamò Boban ma io ero allo Shenzhen, non me la sentii di lasciare in corsa. Sono una persona di parola. Nel ’96 ero in scadenza col Milan: mi proponevano un anno, io ne chiedevo due e mi accordai con i New York Metrostars. Feci un buon Europeo e Galliani mi chiamò: “Ti offriamo altri due anni”. Andai negli Usa. Nel 2017 Tavecchio mi chiamò per il dopo Ventura. Ero in ufficio con Fenucci e Bigon, lo misi in vivavoce: “Presidente, la ringrazio ma ho un impegno col Bologna e voglio onorarlo”».
«Il derby non so come finirà, ma so che durerà tutto l’anno: Milan e Inter sono strutturate per scudetto e Champions. I nerazzurri hanno più consapevolezza, il Milan ha l’intraprendenza dei nuovi, che mi piacciono tutti, Reijnders, Loftus-Cheek… Pulisic ricorda Donadoni? È determinante, gioca ovunque, eccelle nell’uno contro uno, ti punta e ti salta. E segna dei gran gol, come a Bologna. Un po’ alla Donadoni, sì».
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