De Zerbi: “Ho buttato una carriera da calciatore! Allenare è stata una fortuna incredibile”

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Intervistato in esclusiva dalla Gazzetta dello Sport, l’allenatore del Brighton Roberto De Zerbi ha parlato degli ultimi anni di carriera: dall’esperienza in Ucraina al grande salto in Premier League.

De Zerbi

De Zerbi sull’esperienza in Ucraina
«Calcisticamente, un lavoro a metà. A livello umano stupore e smarrimento. Noi non sappiamo niente di guerra oggi, cosa significa dover andare via da un Paese dall’oggi al domani. Lo accetti perché sei obbligato, ma non riesci a capire se è vero o un incubo. Poi guardando la televisione ti accorgi che è la verità. Dopo lo Shakhtar volevo stare fermo fino a quando non sentivo l’esigenza di ripartire. Ho prima di tutto aspettato che il calcio in Ucraina ripartisse: in realtà lo ha fatto, ma quello non è ripartire veramente, è una sorta di tirare avanti. Quando sono tornato in Italia ho avuto subito proposte, anche belle. Le ho rifiutate perché non me la sentivo. Ma quando sono ricominciati i campionati ho sentito la carica che mi saliva».

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Sull’arrivo al Brighton e sui motivi della scelta
«Io penso che se uno si comporta bene nella vita, fortuna e bene gli ritornano. In Ucraina è girata male, però mi sono comportato bene e ho avuto la fortuna di avere una chiamata così importante e prestigiosa. Ho accettato per due motivi: il primo è perché mi ero studiato la squadra e mi piaceva, anche se era un po’ distante dalla mia idea; il secondo è che il primo meeting a Londra con presidente, d.g. e d.s. è durato 5 ore, ma mi ha fatto capire tanto. Il Brighton è la squadra giusta per me perché è una società snella dove non c’è troppo casino e mi danno la libertà di lavorare come desidero e necessito. E poi la squadra mi piaceva: io e i miei collaboratori Andrea Maldera e Marcello Quinto prima di accettare abbiamo visto ognuno 3-4 partite, poi abbiamo pesato i pro e i contro. E abbiamo detto sì».

De Zerbi sul calcio inglese e su Pep Guardiola
«Prima di venire qui non mi attirava. Invece è stato un colpo di fulmine. E oggi riconosco la fortuna di essere arrivato qui, in Premier League, ma anche quella di aver trovato una squadra così forte, con ragazzi giusti e persone per bene. E un’altra fortuna che ho avuto è che ho sostituito un allenatore che al Brighton aveva fatto un grande lavoro. Io pian piano ho ribaltato tutto, ma non toglie che avevo una squadra che aveva coraggio, sapeva stare in campo e lavorare. Guardiola dice che sto cambiando la Premier? Sono 10 anni che alleno e ho imparato a stare in questo mondo. Adesso che i risultati ci stanno sorridendo, complimenti e belle parole si sprecano. Però è importante saperli decifrare. Io non voglio cambiare niente, solo fare quello che sono capace: dare una mia idea e una mia impronta alla squadra. Qui credo di esserci riuscito in un breve periodo, ma il merito è dei giocatori: in poco tempo sono riuscito a riproporre quello che voglio e che in modi diversi ho fatto anche allo Shakhtar, a Sassuolo, a Benevento e a Foggia. Io voglio divertirmi e fare le cose a modo mio. Qui in Premier mi porto dietro quello che sono io e l’esperienza in Ucraina. Il campionato è diverso e lo stile di vita è l’opposto, ma non mi ha cambiato tanto, perché io è da quando ho 13 anni che vivo solo per il calcio, che ha condizionato la mia vita in maniera fortissima. Fare calcio in Ucraina, in Inghilterra o in Germania non cambia molto. Anzi, quando finirò qui mi piacerebbe andare ancora in qualche altro Paese estero. Perché io ho dato tutto al calcio, così come il calcio ha dato tutto a me».

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De Zerbi sul passaggio da calciatore ad allenatore
«Ho capito che da allenatore dovevo divertirmi quando mi sono accorto di aver buttato una carriera da giocatore. Quando ho smesso mi sono accorto che, per quanto fossi e sia ancora malato di calcio, mi ero divertito uno o due anni, forse tre, in una carriera di 14. Ho cominciato ad allenare capendo che era come se potessi vivere una seconda vita sempre nello stesso ambiente, conoscendo gli errori che avevo fatto nella prima. Ed è una fortuna incredibile, perché se non sei stupido non ricommetti gli stessi errori. E allora mi sono prefissato di godermi appieno quello che non mi ero goduto da giocatore: gli stadi pieni, le grandi giocate, i caratteri. È un’altra cosa che mi piace molto, gestire il singolo anche quando può essere spigoloso: mi ricorda che anche io ero spigoloso, e che quando da giocatore ho trovato gente che mi sapeva prendere ho avuto un altro rendimento».

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