Il difensore del Verona Nicolò Casale è stato intervistato dalla Gazzetta dello Sport in vista di Verona-Milan di domani sera.

«Io con la maglia dell’Hellas, il Bentegodi pieno, una grande partita da giocare col Milan: sì, è un’emozione meravigliosa. Una delle tante che ho vissuto in questa stagione».
Le hanno parlato del mito della Fatal Verona?
«Certamente sì, ho tanti parenti e amici che mi hanno spesso raccontato quel che è accaduto nel 1973 e nel 1990, e dopo ho letto diversi articoli al riguardo. Sono state delle partite storiche, delle imprese. Noi ci proveremo di nuovo, ma non tanto perché Verona sia ancora fatale al Milan per lo scudetto. Conta per noi, per conquistare un’altra vittoria che ci permetterebbe di arrivare a 55 punti, il record di sempre per l’Hellas in Serie A».
La sfida è, anche, ad attaccanti che si chiamano Giroud e Leão, all’eterno Ibrahimovic. Chi è il più duro da fermare?
«Ibra è immenso. Giroud, allo stesso modo, è un centravanti di livello mondiale, che ha avuto una carriera eccezionale. Però è Leão la punta del Milan che può “spaccare” la partita, con la velocità che ha, perché quando accelera è difficile tenerlo e in un attimo scappa via e non lo prendi. Servirà avere tanta attenzione su tutti, ma lui, a mio avviso, è il più pericoloso».
Come difensore, che cos’ha imparato da Tudor, che del ruolo è stato eccellente interprete?
«Mi ha cambiato e completato. Prima ero abituato a giocare in una linea a quattro, ero statico. Con lui sono cresciuto sotto ogni aspetto. Mi ha insegnato a marcare sull’uomo, mi ha dato una visione differente, qualcosa che non avevo».
Per arrivare fin qua lei ha fatto un percorso che l’ha portata a giocare per quattro anni in prestito. Quando ha capito di essere pronto per il Verona?
«Dopo la promozione con l’Empoli. Avrei potuto rimanere al Verona, ma ho preferito fare un’altra esperienza. Alessio Dionisi mi aveva già allenato a Venezia. La stagione è stata bella, siamo andati in A e a quel punto ho sentito che era il momento giusto per tornare e restare. L’Hellas, negli anni in cui sono stato in giro, ha sempre mostrato di credere in me».
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A proposito di prestiti, è stato al Südtirol: è lì che l’hanno soprannominata “Dino”?
«Confermo (sorride, ndr). La cosa è nata durante un torello. Per il mio modo di muovermi e correre un mio compagno di squadra, Caio De Cenco, ha detto che sembravo un dinosauro. Quindi, ecco che tutti hanno cominciato a chiamarmi Dino e il discorso è andato avanti nelle stagioni successive, finché a Verona si è stoppato…».
È stato, invece, il piccolo principe per suo nonno Giancarlo, che non c’è più.
«Lo ero perché, essendo il primo nipote, mi viziava. Diceva, quando ero piccolo, che ero portato per il calcio. Penso sempre a lui. Perdi le persone e ne avverti profondamente la mancanza. Ho un legame magnifico anche con l’altro nonno, Luigi: nel suo giardino giocavo a pallone e non ne volevo sapere di andare via».
Di lei si è parlato molto. In estate il suo nome sarà tra i più cercati. Sensazioni?
«Penso a finire bene questo campionato, che per me è il primo in A. È bello vedere che c’è interesse, non lo nego, ed essere accostato a club importanti, ma lo è pure il Verona. Lo si è visto in questi anni, con i risultati che sono stati raggiunti».
Marcello Lippi ha detto che l’Hellas è stata una delle cose più belle della stagione.
«Parole che sono un motivo di orgoglio, che ci hanno colpito e sorpreso piacevolmente, dette da un allenatore che ha vinto tanto. Significa che abbiamo fatto delle ottime cose».
Il suo prossimo sogno?
«Arrivare in nazionale. Ci spero e lavoro per farcela. E intanto penso alla partita con il Milan».
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