QUELLA VOLTA CHE, MILAN-TORINO – È il 21 agosto, molti di noi sono ancora al mare. La prima di campionato ha sempre quell’aria da primo giorno di scuola, di rinascita. Come ha scritto Nick Hornby in Febbre a 90° “C’è sempre un’altra stagione”.

In questo scenario di storia infinita tra il tifoso e la propria squadra, ha un ruolo speciale l’attaccante, o meglio, “la punta”, figura mistica sacerdotale che ha il privilegio atavico di condurci all’estasi, simultaneamente privata e collettiva, del gol.
Partorire l’urlo primordiale che segue l’evento magico di un pallone che entra in rete.
In quella estate il protagonista dei gol immaginati sotto l’ombrellone era Carlos Bacca, figura taciturna, personaggio mite ma determinato, avvolto da un’ulteriore aura di mistero imbastita dai giornali. Ci è stato raccontato come pescatore, come controllore d’autobus, la sua storia è stata incartata in iperboli letterarie che ce lo hanno fatto immaginare sott’acqua, col coltello tra i denti, a trovare perle gigantesche e forzieri carichi di dobloni mentre controllava se gli squali avessero obliterato.
A noi, tifosi del Milan, che cosa avesse fatto Carlos prima di noi, comunque interessava il giusto. A noi interessava che facesse gol. Che riempisse di pescipallone le reti della serie A.
La prima stagione di Carlos Bacca era andata molto bene: 18 reti in campionato, terzo in classifica marcatori, alle spalle del record di 36 dell’Higuain del Napoli e i 19 di Dybala con la Juve.
Le aspettative, per l’anno che sta per iniziare sono alte e confuse. É l’anno del closing, l’anno del Milan comprato a rate.
Il 21 agosto arriva a San Siro il Torino di Mihajlovic, il Milan è il primo Milan di Montella e sugli spalti di San Siro iniziano a notarsi, in numero, le maglie rossonere col settanta sulla schiena.
È amore. Quel particolare tipo di sentimento che s’instaura tra una tifoseria e un attaccante. Sentimenti, prepotenti, passioni furiose che spesso si consumano nell’arco di sei mesi.
(Mesi magari in cui impari che non si dice “Piatek” ma “Piontek”)
In quel pomeriggio tardo-estivo, che profuma di birra fresca, siamo ancora invaghiti di Carlos, il nostro Queequeg dall’aria malinconica. E lui ci ripaga con una prestazione memorabile.
Il Milan è ordinato nel 4-3-3 Montelliano: Donnarumma; Abate, Paletta, Romagnoli, Antonelli; Kucka, Montolivo, Bonaventura, Suso, Bacca, Niang.
Il primo gol è l’apice di quello che poteva essere e non è stato: Niang controlla di sinistro, poco oltre il cerchio di centrocampo, di destro produce un’apertura meravigliosa che trova l’inserimento di Abate coi tempi giusti, cross al volo di Ignazio di piatto destro che trova la testa di Bacca, in tuffo, che aveva preso il tempo ai centrali del Toro. Bellissimo.
Il secondo gol arriva su cross di Niang dalla sinistra, Carlos approfitta del “buco” di Moretti. Controllo di destro e diagonale di sinistro a battere Padelli.
Al diciassettesimo del secondo tempo Bonaventura subisce un fallo in area, calcio di rigore. Carlos prende il pallone con due mani, lo posiziona sul dischetto. Ha tutta l’intenzione di portarselo a casa quel pallone. Tiro centrale, gol.
Come sempre s’inginocchia e indica il cielo con due mani. Il pallone è suo, tripletta, la prima in serie A.
Nelle partitelle in spiaggia, di quei giorni, con le ciabatte in verticale a fare i pali di una porta immaginaria, in tanti, dopo corse affannate e tiri sbilenchi e fortunati, si sono inginocchiati alla stessa maniera e hanno esultato alla stessa maniera.
Era estate, era Carlos, era la nostra punta.
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