Cannavaro e il no del Milan: il vecchio retroscena raccontato a Calciomercato.com sul suo passaggio all’Inter
Fabio Cannavaro scoprì solo anni dopo rispetto al 2002 il motivo per il quale il Milan e Ariedo Braida scelsero di non affondare il colpo per acquisirlo dal Parma. Questo uno dei tanti argomenti affrontati dall’ex difensore della Juventus ai microfoni di Calciomercato.com in una lunga intervista. Di seguito, le sue dichiarazioni soprattutto sull’aneddoto che lo lega ai rossoneri, con Sacchi e Braida protagonisti.

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L’aneddoto sul Milan
Eri uno dei giocatori più importanti del Parma più forte della storia. Quanti rimpianti ci sono per non aver vinto lo scudetto?
“Molti. E parlo di quando c’era Malesani, uno dei migliori allenatori che ho avuto. All’epoca ci trasmetteva concetti che oggi sono considerati moderni: l’attaccare alti, il possesso palla e l’idea di fare sempre un passo avanti e non indietro. Erano istruzioni talmente nuove che perdemmo tre mesi per capirle. Ricordo che una volta ci fu un duro confronto tra noi giocatori e Malesani, Fuser e Dino Baggio gli dissero di tutto”.
Ci racconti l’aneddoto di Thuram e dei suoi calzini?
“Da buon francese si presentò con dei calzini bianchi e bassi; va bene una volta, due, tre… Ma dopo un po’ andai io a comprargliene di nuovi, alti e scuri. Quando arrivavano gli stranieri succedeva spesso”.
Nell’estate 2001 si era parlato di un tuo trasferimento alla Roma.
“Siamo stati vicini. Sensi era molto interessato, poi si rese conto che avrebbe dovuto spendere una cifra troppo importante così rinunciò sia a me che a Buffon, altro giocatore cercato in quella sessione di mercato”.
Parma, Inter, Juve e Real Madrid: qual è stato il trasferimento più difficile?
“Quello all’Inter, perché in quei giorni stavo per andare al Milan. Sacchi mi disse di parlare con i dirigenti rossoneri, ci fu qualche contatto ma alla fine non se ne fece nulla. A distanza di tempo, Braida mi chiese scusa dicendomi che non mi portò al Milan per la mia statura”.
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Il Real e il Bernabeu
Dopo il Mondiale, il trasferimento al Real. Ci racconti lo spogliatoio con Roberto Carlos, Beckham, Raul, van Nisterlrooy?
“Un calcio diverso, più individuale. All’inizio feci fatica perché i campi sono più bagnati e i giocatori più tecnici: lì si gioca palla al piede, non nello spazio. Se gliela appoggiavo un po’ più avanti a Sergio Ramos il pallone finiva in fallo laterale. A Madrid capii la gestione di un giocatore di 35 anni: il mio secondo anno, con Schuster in panchina, volevo giocarle tutte; lui però almeno una volta al mese mi lasciava a casa. In quei momenti mi arrabbiavo, poi iniziai a capire…”.
Che emozione è stata la prima volta al Bernabeu?
“E’ uno stadio che ti resta dentro. Come San Siro, il San Paolo… Rimasi impressionato dal manto erboso”.
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