Ibra a RadioDeejay: “Siamo delusi per l’uscita dalla Champions ma lotteremo per lo Scudetto”

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Ibra a RadioDeejay: “Delusi per la Champions: lotteremo per lo Scudetto”

Sempre in occasione dell’uscita del suo libro “Adrenalina“, Zlatan Ibrahimovic è stato ospite questa mattina a Radio Deejay e ha risposto alle domande di Linus e Nicola Savino.

Come vuoi procedere con l’intervista Zlatan? Vuoi giocare duro o vuoi giocare pulito?
Come vuoi, non ci sono regole in questo gioco. Dipende dalle domande ma provo sempre a essere me stesso. Dipende anche dal giornalista ovviamente, poi vediamo alla fine se sono andato bene.

Dove hai imparato a fare lo show business?
Se dentro dal campo sono un leone, fuori riesco a parlare schietto perché ho molta fiducia in me stesso. Uno che parla tanto poi deve dimostrarlo anche in campo. Ho fatto qualche show in America, lì piace molto e se sei uno sportivo di livello devi essere anche un buon intrattenitore. Per questo mi mandavano sempre nei talk. Prima dei programmi mi mandavano le domande ma non mi piaceva molto, sono una persona istintiva, preferisco le risposte spontanee: è così, o attacchi o difendi.

E’ cambiato il tuo rapporto con i difensori?
Oggi è tranquillo, prima era una bomba: quando scendevo in campo non sapevo se perdevo la pazienza o ero tranquillo. Oggi con l’esperienza so controllarmi ma è più noioso, devo concentrarmi su quello che devo fare non sugli altri. Oggi i difensori hanno molto più rispetto di me, prima mi attaccavano, mi puntavano e non avevano rispetto. C’è qualche difensore di vecchia generazione come Chiellini. Come persona lo stimo e mi piace quando giochiamo contro, c’è un po’ di guerra che mi fa sentire vivo.

Se fossi un arbitro quanto fischieresti?
Non fischierei tanto ovviamente, mi piacciono molto i duelli. Dopo aver giocato in Inghilterra dove lasciano giocare e non fischiano tanto, ho capito che mi piacerebbe arbitrare in quel modo.

Tra tanti campionati dove hai giocato, hai scelto di mettere le radici in Italia.
L’Italia è il paese che mi ha aperto le porte del mondo del calcio che conta, mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Tutto è iniziato in Italia, con tutto il rispetto per l’Olanda. Lì c’è una scuola di talenti che serve a portarti poi nel calcio che conta come quello italiano. E’ come se fosse la mia seconda casa e sono molto grato a questo paese”

Sei arrivato in Italia dopo averci eliminati a Euro 2004, e dopo la Juventus sei stato al Milan e sei diventato amico di Gattuso
Dopo l’Europeo sono arrivato in Italia alla Juventus perché mi ha portato Moggi. Con Gattuso ho un bellissimo rapporto. E’ un grande personaggio, mi stimolava tanto, mi caricava e ha una mentalità incredibile. Ogni volta che entrava in campo dava il 200% e poi come si allenava, giocava. L’ho visto al mio compleanno, si è presentato per farmi una sorpresa. Mi mancava vederlo, lo avevo visto in panchina con il Napoli durante Napoli-Milan.

La tensione che senti prima delle partite è sempre la stessa? E la responsabilità verso i compagni?
Sono sempre carico ma ora molto più concentrato, so cosa serve per caricarmi ed entro nel mio mondo. Ho responsabilità davanti ai miei compagni. Loro mi guardano perché parlo in campo e nello spogliatoio. Si sentono protetti ma sanno che prima o poi dovranno prendersi le loro responsabilità e crescere. Ad esempio Leao si è convinto da solo a correre però, non è venuto da me. Non correva, ho provato ad entrare in contatto con lui ma non trovavamo il giusto feeling mentale. Nel precampionato è esploso ed è poi partito da solo”

Col Napoli era già fatta?
Ero in America e Mino continuava a dirmi di tornare a giocare in Europa, in Italia. In quel momento ho guardato il documentario di Maradona e ho visto che i tifosi del Napoli erano una cosa incredibile: era la giusta adrenalina che a questa età mi serve per andare avanti. Avevo parlato con la società ma proprio il giorno in cui dovevo firmare hanno mandato via Ancelotti. Mi avevano convinto, era tutto fatto. Avevo parlato tanto con lui e il giorno che è andato via mi sono sentito insicuro. Poi fortunatamente è arrivato il Milan.

Dopo il crociato rotto e l’esperienza in america davano la tua carriera per finita. Invece sei tornato ad essere competitivo in Europa.
E’ tutta una questione di mentalità. Avevo 35 anni quando mi sono rotto il ginocchio, quando era successo tutti mi davano per finito. Ma sapete bene che dirmi queste cose è come mettere la benzina sul fuoco: da lì mi sono dato degli obbiettivi. Volevo tornare forte ma non sapevo come sarebbe andata. Diciamo che è andata bene.

Com’è il modo di intendere il calcio degli americani? E’ veramente così ancora troppo lontano dal nostro?
Il calcio americano è fatto di tanta pubblicità e marketing. Non hanno una base per creare talenti e giocatori. In due anni ho fatto vedere io agli americani come si gioca a calcio veramente, ora sono tornati a giocare a baseball. A Los Angeles andavo in spiaggia a giocare perchè c’era meno pressione. Lì mi sono sentito per la prima volta uno dei tanti, potevo andare senza maglia e sentirmi normale giocando in spiaggia con gli altri bambini.

Com’è essere a Milano da solo con la famiglia lontana?
E’ molto dura, non è per niente facile. Siamo sempre stati insieme negli ultimi 20 anni ed è difficile stare lontano da loro. Il programma era quello di andare a Napoli per 4 mesi, vincere lo scudetto e poi tornare in Svezia con loro. Le cose invece sono andate bene al Milan: sentivo la voglia di giocare e ho deciso di prolungare il contratto. Non avevo parlato con mia moglie e ho fatto la mia scelta in base alla passione”

Nel libro dici che vuoi diventare direttore sportivo.
Galliani e Moggi hanno creato questa mentalità del direttore sportivo che vive negli spogliatoi e motiva continuamente i giocatori. Quando entri nello spogliatoio, nelle due ore di allenamento devi dare tutto. Poi dopo si ride e si scherza.

In 22 anni di carriera hai visto tanti fenomeni. Perché non hai mai vinto il Pallone d’Oro?
In realtà non lo so il perché, non dipende da me. Se è per questo non ho vinto nemmeno la Champions League. Io gioco e penso a giocare. Dipende come si guardano le cose: Messi ha vinto il pallone d’oro ma dicevano che meritava Lewandowski. Certo sarebbe stato bello vincerlo, ma come del resto vincere la Champions. Dicono che non la vincerò mai e altre cose ma questo non cambia la mia carriera. Non cambia neanche le mie qualità. Ho avuto la fortuna di giocare con grandi giocatori e grandi squadre, ho imparato diverse lingue e direi che alla fine qualcosa ho vinto.

Fino a che punto un ragazzo deve provarci nel diventare calciatore?
Un ragazzo che vuole diventare calciatore deve continuare finchè si diverte. I genitori non devono mettere troppe pressioni, questa generazione soprattutto ha troppe pressioni. I ragazzi ora giocano per mamma e papà e questo non va bene. Fortunatamente a me nessuno ha messo pressione. Tutto quello che ho passato ha costruito ciò che sono oggi. Non avevo alternative o le strade che c’erano non erano buone, mi sono concentrato sul calcio e lo volevo tutti i costi. In Svezia mi vedevano come straniero e non come svedese e questo mi ha motivato. Secondo me non è solo una questione di talento. Puoi diventare qualcuno anche senza talento se hai voglia e motivazione, ed è una cosa che vale per tutti i lavori del mondo.

E’ vero che hai conosciuto tua moglie bloccandola con la Ferrari?
Si è vero. Il primo messaggio che gli ho mandato mi sono presentato non come Ibrahimovic ma come “Ferrari rossa”. Quando sei giovane sei più rock’n roll, prendi tante cose che non ti servono. Da dove arrivo io, avere una bella macchina vuol dire avere successo. Ora ho capito che certe cose non servono.

Come avete preso l’uscita dalla Champions League?
Siamo ovviamente delusi dall’uscita della Champions League, mi dispiace tanto e ci dispiace tanto ma lotteremo per vincere lo scudetto. Faremo di tutto per vincerlo e non molliamo. Nel fallimento esiste anche il successo, cresceremo e prendermo esperienza.

Rileggi QUI le dichiarazioni post Milan-Liverpool
photocredits: acmilan.com

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