il 15/10/2023 alle 19:11

Balotelli risponde a Ibra: lo sfottò riguarda la Champions

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Mario Balotelli non ha affatto gradito le parole di Ibrahimovic: l’ex Inter risponde rinfacciandogli la Champions League

Quest’oggi al Festival dello Sport Ibrahimovic non le ha mandate a dire nei confronti di Mario Balotelli. La leggenda svedese è stata incalzata da Luigi Garlando sul paragone tra Leao e SuperMario. Ibra ha bloccato subito il giornalista, per l’ex Milan non è accettabile mettere a confronto i due calciatori in questione. Come era lecito aspettarsi Balotelli ha risposto con una frecciatina social, lo sfottò si basa sulla Champions League: Ibra risponderà nuovamente?

Balotelli Ibra

Dalle parole di Ibra, alla risposta di Balotelli: la ricostruzione

Ibrahimovic non deve nutrire una grande simpatia per Balotelli, questo si è potuto notare al Festival dello Sport organizzato da Gazzetta. Lo svedese ha parlato così di Balotelli:

Su Balotelli: “Quando un ragazzino ha l’occasione di sfruttare il suo talento… Lui ha avuto tante occasioni, non ne ha presa neanche una. Ce ne sono tanti che vogliono avere solo un’occasione, lui ha perso tutte le occasioni che ha avuto lui”.

Dopo il tacco di Leao in Champions… “No no, non si può neanche paragonare. Se fa gol la è un genio. Solo i geni capiscono cosa devono fare lì. Per questo lui è in campo e Balotelli è in tribuna”.

Balotelli non deve aver apprezzato molto l’uscita di Ibrahimovic e pochi minuti fa ha risposto via Instagram. SuperMario ci ha tenuto a ricordare allo svedese la Champions League vinta con la maglia dell’Inter. Non solo, nella foto Balotelli ha voluto dedicare tre cuori al campione ex Milan.

Altri passaggi dell’intervista dello svedese

L’ultimo scudetto con il Milan, il più bello di tutti. Hai dato tutto: “È stato lo scudetto da cui ho avuto più soddisfazione. Era una situazione dove la squadra non era favorita, neanche top 4. Erano giocatori che non erano superstar. Non era una squadra in cui era abituato a giocare: ho giocato sempre in squadre favorite. In questo Milan invece era il contrario. Poi non si capiva se vendevano o no, se arrivava un nuovo dirigente o un allenatore nuovo, poi il COVID… Noi eravamo sempre uniti. Abbiamo detto che avremmo fatto passo per passo, un giorno alla volta. Poi chi era pronto mentalmente per fare il sacrificio è rimasto, chi non era pronto è andato via. Poi piano piano si è formato questo gruppo, mai avuto un gruppo così forte di collettivo. Un’atmosfera… Era troppo troppo forte. Non eravamo fenomeni, solo io dai (ride, ndr). Non erano superstar, ma tutti hanno usato la situazione per crescere e far crescere il compagno di fianco. L’anno che abbiamo giocato senza tifosi ci ha aiutato a crescere senza pressione. Avevamo più tempo per arrivare al top. Poi quando siamo arrivati al top hanno fatto tornare il pubblico che ci ha dato un extra boost. Era un gruppo che diventava più forte ogni giorno che passava. Dicevano che avevamo fortuna, bla bla bla, ma alla fine abbiamo chiuso. E quando fai una grande cosa lo vedi e lo senti negli altri. Dopo la partita con il Sassuolo siamo entrati nello spogliatoio e vado in doccia. Due-tre persone piangevano, lo staff piangeva. Da lì capisci cosa hai fatto. Era una cosa in cui nessuno ci credeva. Quando sono tornato ho detto nella prima conferenza che avrei riportato il Milan a vincere: in quel momento ho capito che ci ero riuscito. La soddisfazione è stata differente. Chiedevo quanti avevano giocato in Champions. Nessuno alzava la mano, lo stesso quando ho chiesto chi aveva vinto il trofeo. Quell’anno si sentiva che si poteva vincere. Io ho avuto un infortunio pesante, ma sono rimasto vicino alla squadra. Quando vedi quando abbiamo festeggiato in centro… C’era Tomori che aveva vinto col Chelsea, gli ho detto che vincere qua sarebbe stata un’altra cosa. Mi ha detto che avevo totalmente ragione, questo rimane nella storia per sempre”.

La crescita di Tonali al Milan: “Arrivava da Brescia. Era il suo sogno arrivare al Milan. Il primo anno era troppo tifoso. Gli ho detto: “Basta, non sei più tifoso, sei uno di noi. Qua non servono i tifosi, serve far felice i tifosi”. Poi il secondo anno si è sbloccato e volava, era troppo importante per noi. Già dal Brescia si vedeva che era forte. In tanti non capiscono che giocare in top club è una differenza troppo grande. Altra pressione, altra mentalità, altri obiettivi. Qua se perdi sono il primo che arrivo, poi l’allenatore e poi il club. Quando un giocatore non va al massimo non vuole dire che ha perso talento, ma che serve tempo. Poi dipende anche da noi compagni, anche noi dobbiamo aiutare a farlo stare bene e utilizzare le sue qualità. I dirigenti hanno visto una cosa, in una squadra ci sono allenatore e compagni: tutto va insieme. È uno sport collettivo, non individuale”.

Quanto ti ha fatto male vedere Sandro uscire da Coverciano con un avviso di garanzia? “So poco di questa storia. Mai sentito da lui, mai visto in difficoltà e mai visto che stava male. Giudicare prima di sapere non si sa. Poi se è malato di scommesse bisogna aiutare, è come una droga. Purtroppo non lo so, non pensavo… Poi bisogna capire se andava al casinò, anche io sono andato al casinò. Poi se ha fatto scommesse sul calcio da professionista è un’altra storia. Ma se uno gioca a blackjack… ognuno fa quello che vuole con i suoi soldi. Bisogna capire com’è la situazione”.

È meglio Zlatan o Leao? “Zlatan, ma Zlatan ha creato Leao (ride, ndr)”.

Ti ha stupito vedere Maldini uscire dal Milan? “Ho un buon rapporto con Paolo, dal primo giorno che sono arrivato. Era dirigente, ho giocato contro di lui in campo. Dal primo giorno ho conosciuto la persona. Cresceva come dirigente, era la sua prima esperienza. Non era una situazione facile, non si capiva bene come erano le cose. Di queste cose non portava niente nella squadra. Era sempre presente tutti i giorni a Milanello. Comunicava con mister Pioli, con i giocatori. Tutti i giorni era presente. Non so i dettagli per il mercato, c’erano budget limitato. Era un suo problema, il mio problema era in campo. Ha fatto un grande lavoro, abbiamo vinto. Quando riesci a vincere è una cosa collettiva, ognuno ha le sue responsabilità per arrivare. Non è one man show. Mi dispiace quello che è successo, è una bandiera del Milan. Papà, lui, figlio. Mi dispiace. Ma so che nel calcio le cose possono cambiare. Sono felice per lui per quello che ha fatto per il Milan, come calciatore e come dirigente”.

Il rapporto con Lukaku. Ti dispiace che non ci sia stato un altro incontro? “Mi dispiace, molto. Lo conosco, ho giocato un anno con lui. Non era così come quando è successa quella situazione. Non mi aspettavo quell’atteggiamento, lo conosco da Manchester. In Italia ti fanno diventare qualcosa che non sei, colpa vostra, dei giornalisti. Lo avete fatto sentire qualcosa che non è, allora forse lui si sente re di Milano e del campionato. Ma stava facendo bene, ma lì non ho capito. Lui fa le cose per la sua squadra, ma non era da lui. Lui non è un ragazzo cattivo, ma è successa questa cosa. Poi ho detto: “Se giochiamo un’altra partita vediamo che succede”. Non è personale. Mi ha sorpreso, quello che lui ha fatto non è da lui. Quello che ho fatto io sì (ride, ndr)”.

Sul futuro: “Quanto è passato da quando mi sono ritirato? 3-4 mesi? Ho una libertà totalmente differente. Sto facendo cose per me stesso.  Non ho un boss che mi dice cosa fare o cosa seguire. Sto prendendo tempo per capire cosa voglio fare. ci sono più offerte ore che quando giocavo. Se entro in qualcosa voglio fare la differenza, essendo me stesso. Non voglio entrare in una situazione come simbolo. Entro, inizio da zero e faccio quello che riesco a fare. Poi ovvio, c’è anche la tua immagine da personaggio. Vediamo cosa succede, qualcosa succede. Ho avuto qualche meeting col Milan. Il boss, l’altro boss. Parliamo. Vediamo dove si arriva. È il momento di conoscerci. Poi se uno può portare qualcosa fa effetto, se non può portarlo non fa effetto. Se mi danno il contratto per continuare a giocare fa effetto. Scherzo (ride, ndr). Vediamo”.

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